Vittime di violenza di genere e privacy:  l’importanza dell’anonimato e di un sistema di protezione efficace

di Sarah Yacoubi* – A pochi giorni dalla Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne 25 novembre, proponiamo qualche riflessione per mostrare i temi comuni che caratterizzano la tutela delle donne e la protezione dei dati personali.

Si consideri anche il rapporto delle vittime di violenza con le istituzioni, laddove denunce e richieste di aiuto possono rischiare di non arrivare mai, rimanendo nell’ombra, se non si garantiscono modalità e procedure sicure di trattamento dei dati personali volte ad alimentare anche la fiducia delle donne verso le istituzioni stesse; discorso analogo per le rilevazioni statistiche pubbliche, che per le stesse ragioni e gli stessi timori delle interessate possono risultare parziali, o falsate.

Condividere con altri la propria esistenza quotidiana  può diventare arduo, se chi è chiamato a fornire informazioni non si sente protetto da quelle che sente come invasioni nella propria sfera di vita privata. In questa prospettiva –non sembri un ossimoro– la privacy può diventare invece la chiave per “aprire” le donne al mondo e rompere l’eventuale isolamento vissuto.»

Le vittime di violenza fisica, psicologica, sessuale o economica si trovano in una condizione di estrema vulnerabilità e necessitano di un ambiente protetto per accedere alle cure e ricevere sostegno.

Ad un’analisi superficiale, queste due discipline potrebbero apparire estranee, talvolta addirittura contrapposte tra loro. Qualcuno, dopotutto, potrebbe pensare: cosa c’entra la violenza di genere con la privacy? E perché si invocano ancora tradizioni popolari da “Tra moglie e marito, non mettere il dito”, se il messaggio è che non bisogna voltarsi dall’altra parte, in caso di violenza?

Nella realtà, tutela delle donne e tutela dei dati personali sono entrambe figlie della lotta per i diritti civili, e, come sorelle, non possono far altro che giovare di un costruttivo dibattito sugli argomenti di reciproco interesse. È innegabile, soprattutto, che la tutela delle donne possa e debba passare anche attraverso una più diffusa cultura della protezione dei dati personali e consapevolezza del diritto di ogni persona alla propria riservatezza.

Si pensi alla violenza nella coppia, dove i primi segnali possono corrispondere a un crescendo di “piccole violazioni della privacy” ancora socialmente accettate («dimmi dove sei stata!», «fammi vedere i messaggi sul tuo telefono!», imperativi che non contemplano il consenso). Eppure, sono esse stesse la palese dimostrazione che controllare le informazioni personali di qualcuno, senza regole e senza accordo, equivale a un indiscriminato esercizio di potere sulla persona.

Si pensi quindi al fenomeno dello stalking, fatto di azioni persecutorie che influenzano o compromettono la normale vita quotidiana di chi ne è vittima, generando stati di paura e ansia. Da sottolineare, in questo, il fatto che gli stalker sfruttino sempre più le falle, le opportunità e le vulnerabilità della tecnologia, tramite l’hacking di e-mail e account social, nonché l’utilizzo di spyware e stalkerware (app spesso pubblicizzate come innocue, ma che, piccola nota tecnica, difficilmente supererebbero un’attenta e completa valutazione d’impatto ex. Art. 35 GDPR) per sorvegliare telefoni e altri dispositivi delle vittime.

La privacy non va infatti identificata con la sua sola accezione (per quanto ancora oggi così radicata nel linguaggio comune), di riservatezza come “diritto a essere lasciati soli” da esercitare, in origine, nei soli confronti delle invasioni della stampa. Certo, nel non lontano 2018, il Garante ha dovuto ancora ammonire alcune testate giornalistiche per la diffusione di dettagli sulle vittime di violenza sessuale (come la nazionalità delle vittime, le loro foto, le riprese dei luoghi di lavoro dove erano avvenute le violenze) ritenuti eccedenti i limiti del diritto di cronaca, e sottolineare che la diffusione di informazioni che rendono identificabile la vittima risulta in contrasto con le esigenze di tutela della dignità della persona offesa.

Ma è anche vero che la tutela dei dati personali, oggi, non si limita a questo, e rappresenta un importante impianto di norme, garanzie e tutele per la persona, in cui è richiesto sempre di rivolgere uno sguardo a tutti i diritti fondamentali. Non deve sembrare strano, pertanto, che si ritrovino termini e concetti ricorrenti (seppur con diverse declinazioni), comuni a ogni forma di lotta per i diritti civili.

Il parere del Garante per la Protezione dei Dati Personali sullo schema di decreto del Ministero della Salute che integra il Sistema informativo per il monitoraggio delle prestazioni erogate nell’ambito dell’assistenza sanitaria in emergenza-urgenza (EMUR), rappresenta un passo significativo verso il rafforzamento della tutela delle vittime di violenza di genere nei pronto soccorso italiani. Questo intervento risponde alla necessità di raccogliere e monitorare i dati relativi a episodi di violenza, garantendo al contempo l’anonimato delle vittime, un elemento cruciale per permettere loro di chiedere aiuto senza paura di ulteriori ripercussioni.

Una delle principali innovazioni del decreto riguarda la protezione dell’anonimato delle vittime di violenza di genere, garantendo loro uno spazio sicuro per chiedere aiuto senza timori di conseguenze sociali o personali.

Con queste consapevolezze, ci tengo a ricordare e sottolineare che il 1522, numero gratuito di pubblica utilità per il supporto alle vittime di violenza, garantisce l’assoluto anonimato, come anche la rete nazionale dei Centri Antiviolenza, che assicurano anonimato e segretezza, e intraprendono azioni che riguardano le donne che si rivolgono, solo con il loro pieno consenso.

*Referente Regionale Associazione Protezione 

Diritti e Libertà Privacy APS

Contenuti correlati