Tutto quello che non convince della “romantica” intervista a Saladini

Della “dolce” intervista che Felice Saladini ha rilasciato a Xavier Jacobelli e pubblicata dall’edizione domenicale del Corriere dello Sport sono tanti e variegati i punti di domanda rimasti sospesi nella fuliggine del dubbio, tanti e variegati i quesiti rimasti inevasi.

Contraddizioni e non detto producono, nella vita, non solo nello sport, realtà parallele poco aderenti a quella trasparenza che è una parola, nient’altro che una parola, dietro cui si consumano e nascondono i propri interessi. Il proprietario dimissionario della Reggina, prima di tutto, fa risalire quanto accaduto di anomalo nel corso della trascorsa stagione sportiva ad una mole debitoria celata chissà dove e sconosciuta al momento dell’acquisizione del club amaranto. Eppure, nonostante la giovane età, la sua ascesa imprenditoriale e l’estenuante trattativa precedente l’ingresso al Sant’Agata fanno apparire il rampante lametino tutto tranne che uno sprovveduto della quale ingenuità approfittare. Dunque, come la mettiamo? Davvero risulta credibile una versione simile? Non sapere che la massa di denari vantati dai creditori fosse corposa più di quanto appurato studiando minuziosamente i conti nelle settimane che, nel giugno 2022, hanno portato al passaggio di mano, è qualcosa di inverosimile, piaccia o non piaccia. Anche perché, se davvero così fosse andata, ci sarebbe da dubitare sulle reali capacità di chi si è occupato di fare i conti, operazione decisiva ai fini del felice esito di una qualsiasi negoziazione, figuriamoci se ad essere in ballo è la proprietà di una società di serie B. D’altro canto, le modalità di risanamento del debito, figlie di una legge dello Stato e non di virtuosismi finanziari, sono esattamente le ragioni che hanno fatto spianare i fucili al “mondo sportivo” che ha messo nel mirino la Reggina: si immagini, il “patron da Lamezia Terme”, se il club da egli presieduto può essere considerato da quello stesso mondo un “esempio sano e solido”, come ha dichiarato al morbido intervistatore del Corriere dello Sport. Direttamente connesso alla decisione di Saladini di abbandonare il campo appena un anno dopo aver varcato il cancello della sede amaranto è l’interrogativo, da allora avvolto nella nebbia, circa il motivo reale, veritiero, che ha spinto un giovin signore della provincia catanzarese con interessi ovunque, ma non a Reggio Calabria, a mettersi sulle spalle un patrimonio come la Reggina. Perché si è preoccupato di salvarla? Perché ha ritenuto fosse un suo “compito”, come riportato nel romantico colloquio con Jacobelli? Si raggiungono punte inesplorate di surrealismo quando, poi, il “Nostro”, contestualmente alla spiegazione che lo ha costretto al disimpegno, legate alla necessità di doversi concentrare sul suo gruppo, parla di “visione di lungo periodo” e di “affetto per la squadra”. A proposito di “affetto per la squadra”, sottoponiamo alcune richieste alla sua attenzione poiché non è ben chiaro di cosa stiamo parlando di preciso. Del post Reggina-Ascoli per esempio? Qualcuno, tra lei (patron dimissionario), Marcello Cardona (presidente dimissionario) o Angelo Ferraro (socio dimissionario e sua ombra, in questo caso, non dimissionaria) ha voglia di riferire a chi non era presente nello spogliatoio ciò che è successo e cosa lo abbia originato? Che dice, “patron”, lo renderà di pubblico dominio prima di lasciare lo Stretto ed approdare chissà dove? Per carità, non si tratta di curiosità, ma solo di “trasparenza” (avessimo giocato il campionato della “trasparenza” parolaia”, avemmo seminato Frosinone e Genoa sin dalle prime giornate di campionato conquistando la promozione già a Natale). Poi, certo, potreste dividervi i compiti: uno raccontarci dei minuti immediatamente successivi alla fine della stagione regolare, l’altro dedicarsi a quelli seguiti al termine di Palermo-Reggina, il terzo, infine, rendere di pubblico dominio gli eventi che si sono manifestati nel ventre del “Granillo” dopo Reggina-Cagliari. Nel frattempo, sarebbe il caso di far notare con sommessa educazione che, mentre il proprietario dimissionario va avanti con il casting funzionale a garantire un futuro societario roseo ai colori amaranto, la data del potenziale avvio della prossima stagione (campagna acquisti, raduno, ritiro, amichevoli, Coppa Italia, campionato), si fa ogni giorno sempre più pericolosamente vicino. Nella medesima conversazione con il giornale romano ha detto tutto e il contrario di tutto anche sul piano squisitamente tecnico: sarebbe così cortese, infatti, a spiegarci, in quale maniera una programmazione triennale, iniziata un anno addietro, si sposa con un progetto fondato sui giovani? D quali giovani sta parlando? Di quelli da prendere in prestito qua e là vagando per la Penisola chiedendo in giro prestiti da restituire alla fine del prossimo torneo a club che, certamente, per come si sono delineati gli equilibri politico-sportivi, non si precipiteranno a concederci talenti con la facilità di un tempo? E ancora, questi giovani da chi dovrebbero essere allenati? Lei non è nelle condizioni, in quanto dimissionario, di affermare con certezza, che la guida tecnica continuerà ad essere Pippo Inzaghi, ritrovatosi in mezzo a questo guazzabuglio che lei ha creato ed alimentato. Ciò significa, in buona sostanza, che, nella baraonda di queste settimane, di tutto si sta parlando, al 26 giugno, ma non di questioni di campo: le sole che dovrebbero regnare nelle menti e nei cuori dei tifosi, prima, durante e dopo il periodo estivo.

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