
E’ trascorsa ormai quasi una settimana da quando Giovanni Santoro, presidente di Confcommercio Reggio Calabria, ha scaricato sul terreno melmoso di una città dormiente, un fulmine a ciel sereno di cui l’opinione pubblica e la classe dirigente (?) non hanno colto, nemmeno minimamente, la portata.
In una realtà segnata da senso civico e passione civile le parole usate per comunicare che due giorni prima si era dimesso dal ruolo di guida dell’importante associazione dei commercianti reggini avrebbero dovuto sollevare una serie di interrogativi preoccupati se solo fossero arrivati a destinazione di un uditorio appena conscio della gravità delle stesse. Eppure, nulla è accaduto: come se fosse stato gettato un imponente masso nello stagno delle inutili beghe cittadine dominate da un sindaco che, addirittura, trova il tempo per giochicchiare con le app dello smartphone e nessuno abbia avvertito sul proprio corpo un solo schizzo di acqua sporca. In una porzione di territorio terribilmente ferita dall’assenza di grandi imprese, il commercio, senza stupida retorica, costituisce la spina dorsale dell’economia. Dunque, chi ne ha retto le sorti per sette anni ha un ruolo “politico” non indifferente, rappresentando un punto di riferimento per chiunque abbia a cuore il destino di questa terra schiava di una triste irrilevanza. Di fronte all’indifferenza esibita da una città inconsapevole, potrebbe essere, allora, lo stesso ex presidente ad affondare i colpi raccontando, nel dettaglio, con contestazioni circostanziate, chi e che cosa lo abbiano costretto ad assumere una decisione così sofferta. Proprio perché può vantare, come ha fatto in occasione della nota con la quale ha annunciato le sue determinazioni, risultati eccellenti conseguiti nel corso del suo mandato, non sarebbe esercizio inopportuno scendere nel dettaglio. A maggior ragione in questo momento segnato da voci incontrollate, e partite un minuto dopo la diffusione della notizia dell’abbandono della carica, che lo vogliono tra i papabili candidati a sindaco di Reggio Calabria per la coalizione di centrodestra. Aver recuperato dal baratro la Confcommercio per condurla, progressivamente, a modello di gestione portato ad esempio a livello nazionale avrebbe dovuto garantirgli una serenità che, al contrario, non traspare da nessuna delle frasi contenute nel comunicato. Nonostante tutti fingano che, a queste latitudini, la diffidenza sia una necessità inderogabile, non rientra nei canoni della normalità ammettere di essersi potuto fidare di pochi, lamentando una solitudine sconfortante. Rimanere isolati a Reggio Calabria è, o meglio, dovrebbe fornire motivi di angoscia collettiva di cui non si intravedono nemmeno i contorni, a maggior ragione se coloro che fanno impresa, come drammaticamente noto, finiscono per andare a sbattere non solo con i muri alzati da quella poltiglia indigesta fatta di “politica e burocrazia”, ma anche, e ciò è ragione di oscuro turbamento, con l’infamia velenosa connaturata nell’abominio disonorevole della ‘ndrangheta. Santoro ha saputo fronteggiare tutto questo, ma, evidentemente, non è bastato. Quel che non hanno potuto le “offese, minacce e aggressioni sia verbali che fisiche” è riuscito, invece, a quegli “interessi di strana e sporca natura” su cui varrebbe la pena, proprio per la delicatezza delle questioni sollevate, spendere ben più di qualche parola. A chi si riferisce il già massimo esponente dell’associazione dei commercianti della città quando parla di “attacchi da parte di chi ho sempre cercato di tenere lontano dall’organizzazione?” Proprio perché, in coda alla “lettera”, ha manifestato tutta la sua preoccupazione per il futuro della città, rivendicando a se la sua irriducibile libertà, Santoro ha ora l’opportunità unica di disvelare compitamente il marcio che ha denunciato da combattente come, con legittimo orgoglio, ha rimarcato essere. Sarebbe la via maestra per uscire dalla solitudine cui condannare, al contrario, chi lo ha messo nelle condizioni di compiere l’inaspettato passo indietro.