Il treno della propaganda di Renzi è arrivato, ma la Calabria è ferma su un binario morto

Umiliati dai loro stessi comportamenti, derisi dai loro stessi convincimenti: è la triste sorte dei politici calabresi al cospetto del loro padrone. E’ sempre stato così, viene il sospetto che sarà sempre così perché il servilismo oligarchico che funziona per cooptazione è, evidentemente, un residuo borbonico dal quale vassalli e valvassori non si libereranno mai. Oggi è stato il turno, ancora una volta, di Matteo Renzi e dei suoi falsi, falsissimi, soldatini che dal Pollino allo Stretto lo omaggiano del bacio della pantofola. A Reggio, come nel Vibonese, il treno che sta conducendo il segretario nazionale del Partito Democratico in 107 delle 110 province italiane, è stato preso d’assalto dai capi e capetti locali. A tutti loro serve assalire la diligenza, a caccia di un selfie come ragazzini in delirio per il loro idolo, inseguendo un fugace scambio di battute che permetta loro di rivenderselo nei giochini più disparati nell’acquario della politica. Una corsa alla scrittura del comunicato più insulso per salutare, commossi, il “segnale di grande attenzione (sigh)” del “Caro Leader” alla sfortunata terra nostra che, però, vedrete, dopo essere stata unta dal Signore troverà la retta via dello sviluppo. Inginocchiati al cospetto del dominus, sono orgogliosi di quella che resterà la loro azione politica maggiormente degna di nota: spingere e sgomitare per essere proprio lì, a fianco del “lider maximo”. D’altra parte, siamo ormai a tutti gli effetti in campagna elettorale e, nell’epoca del Rosatellum, essere all’interno del recinto nel momento delle scelte conta tanto. E, dunque, una posizione di favore nel corso di un appuntamento elettorale all’insegna della propaganda inutile può aiutare ad ottenere una posizione altrettanto favorevole nel listino partorito dal Capo per la quota proporzionale. Se avessero soltanto un po’ di dignità, personale e politica, gli esponenti della classe politica calabrese (degnissimi rappresentanti, peraltro, di quella prona opinione pubblica, servile e masochista), pretenderebbero risposte, imporrebbero il mantenimento di promesse per troppo tempo colpevolmente disattese. Per farlo dovrebbero, però, essere armati di  responsabilità, di cui mancano, e seria passione civile, che non hanno idea di cosa sia. Ed allora fiato alle trombe per il nostro Capo, stendiamo tappeti rossi ai suoi piedi: riempiamolo di quelle stesse menzogne che propiniamo ogni giorno ad una comunità morta e sepolta dalla sua stessa ignavia. Lui, del resto, saprà ricambiare con le sue personalissime menzogne. Ed allora che importa se Renzi parte da una Città Metropolitana di cui si vergognerebbe anche un abitante di Mogadiscio? Sarebbe ben orgoglioso di sapere che un sindaco del suo partito (Giuseppe Falcomatà) è talmente scarso da non riuscire a garantire ai suoi cittadini nemmeno il beneficio del servizio primario per eccellenza: quello di un’acqua regolarmente distribuita. Un colpo al cuore della narrazione renziana le cui pagine calabresi è bene che restino bianche anche lasciando lo Stretto per raggiungere il Vibonese. Lì, tra servizi sanitari deficitari, spoliazione dei territori interni, viabilità da Quarto Mondo, si consuma quotidianamente il disprezzo dell’umanità di ciascun abitante. A dispetto dell’allegro tour renziano, una verità si staglia in tutta la sua nettezza: la Calabria è ferma, definitivamente, su un binario morto.

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