Quando si abbatte una tempesta è impossibile per chiunque trovare un riparo di fortuna e l’infinita lettera di Angela Marcianò ai reggini altro non è che un uragano che ha lasciato tutto e tutti sotto le macerie. Nessuno, autrice compresa, ha, infatti, la ventura di sottrarsi alle conseguenze devastanti del profluvio di accuse pesanti, denunce circostanziate e rivelazioni che hanno scoperchiato il Vaso di Pandora sotto il quale, fino al tardo pomeriggio di ieri, martedì, si muovevano prudentemente gli attori, arroganti protagonisti e limitati comprimari di questa storiaccia di mala politica e mala amministrazione. A scanso di equivoci, è bene far partire qualsiasi riflessione dallo stesso assessore defenestrato da Giuseppe Falcomatà. Gran parte del contenuto da lei pubblicato su Facebook è materiale probante per l’apertura di un indefinibile numero di inchieste giudiziarie, a maggior ragione che è la stessa giuslavorista a precisare che si tratta “solo” delle dovute risposte ai pochi, pochissimi, argomenti trattati dal Primo Cittadino nell’intervista rilasciata domenica scorsa ad un quotidiano locale. La Marcianò, invero, in più di un passaggio, ha precisato di aver denunciato, nel corso dei circa tre anni in cui ha esercitato il ruolo di assessore, “situazioni torbide interne”: ma è di tutta evidenza, viste le gravissime imputazioni mosse a carico del sindaco che, o per denuncia s’intende un atto formale da mettere nelle mani della Procura della Repubblica o l’intera batteria di fuoco demolente Palazzo San Giorgio rischia di essere caricata a salve. Paradossalmente, quanto più lunga è la lenzuolata di incriminazioni politico-amministrative dirette verso il Capo dell’Esecutivo comunale, tanto più urgente ed obbligatoria è la sollecitazione di un intervento risolutivo della magistratura e degli altri organi dello Stato deputati ad arrestare questo fetido verminaio. E tuttavia, è altrettanto scontato, a questo punto, di fronte alla imponente mole di specifiche indicazioni di presunti illeciti, che siano gli stessi togati a pretendere di liberare la città dal fumo delle insinuanti contestazioni per addentare con decisione l’arrosto delle disdicevoli illegittimità di cui si sarebbero macchiati Falcomatà ed i suoi sodali. E’ talmente robusta la quantità di abusi denunciati dalla docente universitaria che nei corridoi di Palazzo San Giorgio, già oggi, dovrebbe esserci un viavai di rappresentanti della Procura della Repubblica, della Prefettura, dell’Autorità Nazionale Anticorruzione. Indugiare e ritardare una decisa azione chiarificatrice sarebbe imperdonabile e, a dirla tutta, impossibile se queste medesime istituzioni intendono scampare al crollo dell’edificio democratico. Un collasso delle fondamenta al quale, invece, non può sfuggire il Partito Democratico: di fronte ad uno scenario così drammatico, non può più essere sufficiente scaricare Falcomatà con una nota vergata da Lorenzo Guerini, Coordinatore di quella stessa Segretaria Nazionale di cui fa parte Angela Marcianò, chiamata direttamente da Matteo Renzi, leader di quel medesimo partito al quale è iscritto Giuseppe Falcomatà. Una situazione oggettivamente imbarazzante, ma che il PD non può eludere se non prendendo provvedimenti drastici a tutela della sua immagine agli occhi degli italiani. Perché, è bene ricordarlo, il caso deflagrato a Reggio Calabria ha varcato, come era ovvio che fosse, i confini cittadini e quelli regionali diventando, a tutti gli effetti, una mostruosa vicenda nazionale. Un quadro dai colori tragici in cui si stagliano, nitidamente, anche le figure di tutti i componenti della maggioranza di centrosinistra. Assessori e consiglieri che troppo supinamente e superficialmente hanno sopportato o supportato, patito o goduto dei capricci di un Capo, fino al pomeriggio di ieri considerato “solo” inidoneo alla carica. Adesso, però, il livello si è pericolosamente alzato: proseguire l’incerta navigazione sotto coperta, per non disturbare il timoniere, si è dimostrata la peggiore delle scelte. Ciascuno di loro ha ora l’obbligo morale di uscire allo scoperto, se ritiene (come ritiene) di non avere nulla a che fare con le “discutibili” modalità di gestione della cosa pubblica da parte di Falcomatà. Il silenzio, prima complice solo sul piano politico, rischia, da un momento all’altro, di diventare corresponsabilità su altri, ben più rovinosi e letali, piani.
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