
In tanti si stanno divertendo in questi giorni nello stanco giochino del totovicesindaco di Reggio Calabria, quasi fosse roba seria su cui discettare, quasi fosse politica ciò che avviene nel campo giochi di Palazzo San Giorgio ed in quello, più luminoso del dirimpettaio Palazzo Alvaro. Suvvia, facciamo i seri: gli equilibri di potere in questo nuovo passatempo, meno chiassoso, ma più goffo della morra che ha fatto alzare il severo sopracciglio al severo professorino con precaria fascia tricolore al petto, non c’entrano una beata mazza. A contare sono ben altre variabili, o meglio una sola: il grado di sottomessa devozione al Capo. Non serve nient’altro per andare ad occupare le caselle di vicesindaco e vicesindaco metropolitano, facenti funzioni (alias prestanome) di prossima investitura. Perché, anche questa è parte importante della farsa inscenata di recente, l’accelerazione potrebbe apparire come un’appendice naturale della richiesta di condanna avanzata la settimana scorsa dalla Procura della Repubblica nell’ormai celeberrimo processo “Miramare”.
In realtà, solo gli stolti (molti sono in libera circolazione) ed i malfidati nella Giustizia italiana (un numero ancora maggiore dei primi) nutrono, sin dall’alba delle indagini sfociate nel dibattimento, dubbi in merito alla sentenza che, prove schiaccianti alla mano, non lascerà scampo agli imputati. Imputati al plurale, non lo si dimentichi mai, anche se tutte le attenzioni sono, ottusamente, concentrate sul Primo Cittadino e sulla sua sospensione successiva all’eventuale pronunciamento di colpevolezza da parte del Collegio giudicante. Se così fosse stato, il problema da affrontare avrebbe anche potuto rimanere circoscritto nell’asfittico alveo delle bagattelle giudiziarie, ma la verità, purtroppo per l’Amministrazione Falcomatà è molto, molto, più minacciosa. Nel caso i magistrati, da qui a tre settimane, giorno più giorno meno, dovessero considerare responsabili dei reati loro addebitati i personaggi accusati, si scatenerebbero scosse telluriche sul piano politico che lascerebbe sotto le macerie qualunque coalizione, figuriamoci l’insignificante centrosinistra reggino. Un verdetto che si abbatterebbe sui vertici degli enti locali, (sindaco, vicesindaco metropolitano, due consiglieri metropolitani delegati ed un assessore comunale ai Lavori Pubblici) non potrebbe essere considerato meno di un uragano di delegittimazione che andrebbe ad insudiciare e disonorare come mai nella storia di Reggio Calabria le sue istituzioni. Se si trattasse di politica, pertanto, l’indomani mattina, tutti i componenti della maggioranza, qualora fossero onesti intellettualmente e guardiani fedeli del senso dello Stato, si presenterebbero, provvisti di dignità e onore, a Palazzo per firmare collettivamente le dimissioni. In assenza di tali requisiti, imprescindibili per considerare meritevoli di rispetto questi modesti maestri di dappocaggine, ci sarebbe da volgere lo sguardo verso i banchi del centrodestra per sperare in un sussulto di fierezza che li induca ad abbandonare un Consiglio comunale meno autorevole di un circo. Le menti raffinatissime della minoranza, leggendo queste considerazioni, si leveranno in piedi suffragando la tesi che, quand’anche levassero le tende solo loro, l’Assemblea elettiva cittadina resterebbe in piena carica. E quindi? Sono davvero talmente a digiuno di politica da disconoscere il valore simbolico di un loro passo indietro formale? Sta di fatto che, con buona pace del professor Tonino Perna e del coimputato Armando Neri, avanzando a piccoli passi verso la conclusione del processo di primo grado, si preferisce non cogliere il nocciolo politico della vicenda e baloccarsi con la giostra dei nomi del burattino (alias vicesindaco, alias prestanome) meno difettoso per assicurare lo spasso a Falcomatà: che gli dia il nome di Irene Calabrò, Paolo Brunetti, Carmelo Versace o di chiunque altro faccia parte della compagnia di giro cambia davvero poco, pochissimo.