Solo il prestigio di una figura sapiente spazzerà i rancori del centrodestra reggino

Il centrodestra non riesce a schiodarsi da quel palo di vivace supponenza a cui è incatenato da un lustro e più

Sembra che, dalle parti del centrodestra reggino, il tempo si sia fermato e continui a costringere tutti i suoi attuali protagonisti (che avrebbero potuto e dovuto, per cursus honorum e conoscenza dei meccanismi interni alla politica, creare una nuova stagione) a rimanere ancorati ad un passato che fanno fatica a lasciarsi alle spalle.

Settarismi che, quantunque ammantati da un alto livello culturale, non determinano le condizioni ideali per compiere un solo passo in avanti verso la realizzazione, ideale prima ancora che personale, di una alternativa solida da offrire all’opinione pubblica reggina disincantata e disillusa come non mai. Cinque anni non sono stati sufficienti per metabolizzare la fine di un’epoca dominata da Giuseppe Scopelliti dietro cui, a livello di personale politico, nulla è rimasto a livello di leadership nel centrodestra. Nessun “delfino” a raccoglierne l’eredità, ma in compenso tanti caporali ingenuamente convinti di detenere, in termini di consenso e presa sull’opinione pubblica, i lustrini di Generale. Brillano, per intelligenza politica, quindi, coloro che, forti di una lunga ed utile frequentazione delle “stanze dei bottoni”, hanno capito che un atteggiamento così spocchioso, rancoroso e divisivo non fa altro che ingrassare le speranze di riconferma, originariamente flebili, nutrite da Giuseppe Falcomatà. Un paradosso a tutti gli effetti se si pensa che alle difficoltà in cui si dimenava sul piano politico-amministrativo e che ha dimostrato, con la sua oggettiva irrilevanza, di non saper gestire, per il sindaco si sono aggiunte beghe giudiziarie di un certo rilievo. Il “caso” Miramare, infatti, preso sotto gamba dal Primo Cittadino uscente e dal suo entourage, rischia di fare male, malissimo, a tutti i livelli e fingere serafico distacco dopo la condanna inflitta in primo grado all’ex assessore Angela Marcianò è il sintomo di una preoccupante incomprensione della realtà da parte degli amministratori di Palazzo San Giorgio. Eppure, ciononostante, il centrodestra non riesce a schiodarsi da quel palo di vivace supponenza a cui è incatenato da un lustro e più. Ai tempi della comunicazione politica tramite social network, infatti, è certamente appassionante accapigliarsi su quelle poche bacheche stimolanti al punto da suscitare intelligenti confronti, ma tutto ciò, in fin dei conti, si rivela un vano esercizio di esibizione intellettuale in una fase in cui tutti dovrebbero essere impegnati nell’individuazione delle risorse migliori per far risorgere la città. Rinfacciarsi scelte, o presunte tali, che appartengono ad altre ere geologiche ha il solo effetto di distrarre obbligando lo sguardo a voltarsi all’indietro senza che il processo di sintesi, quanto mai urgente, su programmi e personalità con cui comporre la squadra, giunga a compiuta definizione. Il primo problema cui ovviare, strettamente connesso alla già citata assenza di un leader legittimato da tutta la compagine, è costituito dalla presenza di una eccessiva moltitudine di voci, alcune delle quali manifestamente inconsistenti ed altre provenienti da millenni lontani. Non hanno potere decisionale alcuno, ma pretendono di continuare ad occupare quel centro di gravità permanente sconsideratamente loro già concesso. Sedicenti padri nobili fuori dal tempo e cavalieri eternamente rampanti pronti, per l’ennesima volta, a salire su cavalli dai quali sono stati disarcionati: è essenziale capiscano, entrambe le categorie, che non forniscono un valore aggiunto, tutt’altro. Se esibiti durante la campagna elettorale, gli uni e gli altri genererebbero una inevitabile crisi di rigetto da parte della cittadinanza che certamente continua a soffiare sul vento impetuoso contrario al Primo Cittadino, ma ambisce a trovare riparo sotto un tetto sicuro, non in un rudere rovinato dall’usura dei secoli. D’altra parte, sarebbe il caso di non dimenticare che chiunque ha un passato e far pesarlo nel momento delle scelte tradirebbe un errore inammissibile. A questo punto dei giochi è un obbligo morale che risiede in capo a chiunque sia chiamato a scegliere la persona fisica su cui graverà il delicatissimo compito di guidare la comunità reggina, concentrare l’attenzione non su vetusti, quanto deleteri, “Manuali Cencelli”, ma sulla figura che per prestigio e rettitudine, sapienza e slancio civile, sappia diffondere la fierezza, ad oggi custodita nel cassetto della memoria collettiva, di sentirsi “popolo reggino”. Caratteristiche, queste, opportunamente padroneggiate da qualcuno che abbia conservato intatto, nel suo DNA, quel profondo culto dei valori umani alla base dell’educazione personale e del rispetto nei confronti del prossimo imprescindibili nella gestione di una nuova classe dirigente impossibile da immaginare non autorevole, prestigiosa e qualificata.

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