
La paura, al pari dei suoi potenziali effetti flagellanti, tutto livella: come se disponesse in un nuovo ordine ogni tassello delle nostre vite.
Quella parola, pandemia, quelle immagini mute degli ospedali, quei provvedimenti governativi che, con cadenza inquietante, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte annuncia al popolo italiano lungo una parete montuosa ripida, ripidissima, da scalare, probabilmente sovvertiranno in maniera definitiva la quotidianità, con le sue illusorie gerarchie di priorità in vigore fino a pochi giorni addietro. Ci hanno, infatti, permesso di indossare occhiali nuovi per vedere una realtà nuova, diversa, non più a colori artificiali, ma con la nettezza della verità che non inganna. Abbiamo imparato che niente è scontato, ma davvero, non a mo’ di cantilena senz’anima, come sa bene, fin troppo bene, chi con la morte è già stato occhi negli occhi almeno una volta nel corso della sua esistenza. Abbiamo imparato che l’egoismo sociale è una malattia da debellare in ogni suo sintomo, che scappare dalle proprie responsabilità nei confronti degli altri per salire sul treno o sull’autobus o sull’auto delle proprie meschinità ci qualifica, per sempre, anche ai nostri occhi, per quello che siamo: canaglie accecate dall’amore esclusivo verso se stessi. Abbiamo scoperto che in situazioni così ingestibili sono necessarie mani forti, pugno duro e toni severi per mettere in riga un popolo refrattario alle regole, costantemente ed invariabilmente mosso dal desiderio di fottere il prossimo scavalcandolo nella fila ed all’insegna maledetta di quel mors tua vita mea che fa correre, a migliaia, in direzione dei supermercati per accaparrare quanta più roba possibile e chi se ne frega delle esigenze comuni. Ed è proprio ad un millimetro dal precipizio verso l'”io” più gretto che il “noi” si sta riprendendo con forza impetuosa lo spazio che gli spetta. Abbiamo scoperto che distruggere la sanità pubblica (come tutto ciò che è pubblico) per asservirsi a freddi ed insensati parametri che fanno ingrassare i soliti noti, è stata una dichiarazione di guerra all’essere umano in quanto tale. Abbiamo scoperto che medici e infermieri sono uomini e donne veri che, con timore misto a coraggio, vanno incontro al loro dovere protetti solo dalla loro passione. Abbiamo capito quanti imbecilli si arricchiscono vegetando all’interno di uno schermo o di un display. Abbiamo scoperto che il profitto avido di rozzi mercanti va a sbattere contro il muro della paura di non farcela a vedere la strada dopo la curva pericolosa. Abbiamo scoperto che rivolgere lo sguardo verso lo specchio del nostro egocentrismo ci impedisce di ammirare le meraviglie semplici da cui siamo avvolti. Abbiamo scoperto che mettere le cuffie per ascoltare, isolati dal resto del mondo, il nostro ritmo ci impedisce di sentire la melodia del sentirsi comunità prima avvertita come un fastidioso rumore. Abbiamo scoperto che, dopo la sbornia del finto egualitarismo per cui tutti possiamo, e dobbiamo, mettere bocca, su tutto, in omaggio ad una concezione drogata della democrazia social e del diritto di tribuna virtuale, è decisivo affidarsi ai sapienti, limitandoci ad ascoltare in religioso silenzio. Abbiamo scoperto che delegare, ad ogni livello, da quello locale a quello sovranazionale, responsabilità politiche ed amministrative a burattinai inabili e burattini ignoranti è un’azione estremamente pericolosa che non va mai più ripetuta, pena la nostra stessa sopravvivenza. Abbiamo imparato che tutto, davvero tutto, si può fermare, per non far fermare la vita. Abbiamo imparato che è meglio camminare con serenità invece che correre senza una meta che valga la pena raggiungere. Abbiamo scoperto che Juve e Inter, dopo la positività al coronavirus di Daniele Rugani, nemiche storiche, possono essere accomunate dallo stesso destino e, per uno scherzo beffardo dei paradossi, le loro strade si sono intrecciate inestricabilmente proprio perché (disprezzando i Valori per proteggere il valore finanziario della instabile industria calcistica) di una partita, una banale partita, non si sapeva cosa fare. Abbiamo scoperto che il terrore di contagiare coloro i quali ci stanno accanto è ben più paralizzante dell’essere contagiati noi stessi. Abbiamo scoperto nella casa un rifugio dal quale non fuggire a caccia di emozioni quasi mai ubriacanti. Abbiamo capito che non possiamo lavarci le mani davanti a chi arranca dietro di noi, col respiro affannato e stanco. Abbiamo imparato che dobbiamo “sentire” il contatto col vicino senza bisogno di “toccarlo” con le nostre sporche cattiverie. Abbiamo imparato che stare da soli è una necessità ineludibile, una condizione da cui trarre benefici per andare avanti e consentire al resto del mondo di farlo anch’esso. Abbiamo imparato che nella fase storica della globalizzazione dobbiamo tutelarci da un nemico che abbiamo sotto il tavolo. Perché,dopo essere stati imbrogliati da falsi miti e imbonitori fasulli, abbiamo imparato che un giorno la Terra continuerà a girare anche senza di noi.