
Stanchi, irrigiditi, ma lontani dall’arrendersi. Perché dopo oltre 20 anni di battaglie non vogliono tornare indietro, né subire nuovi colpi della sorte. Gli ex Lsu/Lpu hanno deciso di alzare il livello della protesta rivolgendosi alla Corte europea dei diritti dell’uomo, al Presidente della Repubblica, al Prefetto di Vibo, oltre che al Commissariato di Polizia ed al Comando dei Carabinieri.
In una missiva carica di tensione ripercorrono la loro storia cercando qualcuno in grado di ascoltare il loro grido di dolore.
Siamo un gruppo di circa 50 persone – scrivono – e la nostra è una lunga storia di sacrifici, speranze, attese, illusioni e puntuali delusioni.
Ha inizio tra il 1997 ed il 1998, quando, per alcuni a seguito dell’attuazione di progetti di lavoro socialmente utile e per altri nell’ambito dell’attivazione di progetti di pubblica utilità ex Decreto Legislativo 7 agosto 1997, n. 280, abbiamo deciso, a ragione o a torto e per le ragioni più disparate, di aprirci a tali opportunità lavorativa.
Sede del nostro lavoro il Comune di Serra San Bruno, presso il quale ciascuno di noi ha ricoperto nel corso degli anni le mansioni e le occupazioni più svariate, spazzino, addetto alla manutenzione o alla raccolta dei rifiuti, autista, operatore a supporto dei servizi sociali, fino anche a svolgere compiti di concetto che non collimano con le qualifiche per le quali siamo retribuiti, quando lo siamo! L’Ente presso il quale prestiamo il nostro lavoro, infatti, ha oramai pochissimi dipendenti di ruolo, tanto che, se noi decidessimo ed avessimo il coraggio di fermarci per pura protesta, tutte le attività ed i servizi offerti dallo stesso ne risentirebbero pesantemente”. Il racconto indica diversi snodi e riassume i cambiamenti verificatisi: “fino al 2014 il lavoro da noi svolto può essere qualificato lavoro nero legalizzato, giacché in relazione a detto periodo non è stato versato alcun contributo ai fini pensionistici. Per tale rapporto di lavoro, un part-time a 30 ore settimanali, percepivamo circa 800 euro mensili, oltre gli eventuali assegni per il carico familiare. In quegli anni vari sono stati i rinnovi e le lotte per ottenerli, venivamo ricordati in occasione dell’approssimarsi delle diverse competizioni elettorali o dai vari sindacati per l’incetta di adesioni”.
“Dal 2015 – precisano i lavoratori – il Decreto Interministeriale dell’8 ottobre 2014, ai sensi dell’art. 1 comma 207 della Legge n, 147/2013, ha stabilito le procedure per la stabilizzazione, permettendo la contrattualizzazione a tempo determinato part-time a 26 ore settimanali, con inquadramento dei lavoratori solo in categoria A o B. Anche in questo caso si sono susseguite più proroghe, che hanno visto la sottoscrizione di diverse postille contrattuali, prima per periodi per lo più annuali, mentre per il 2021, ad oggi, la gran parte di noi (Lpu) è giunta alla terza proroga, l’ultima delle quali dovrebbe vedere la sua scadenza al 31 del corrente mese. E dopo? Forse giungeremo ad essere assunti a 18 ore settimanali per percepire circa 600 euro mensili; quelli di noi che facevano parte degli Lsu, invece, sono già dipendenti di ruolo, ma a soli 12 ore settimanali con una retribuzione di poco più di 400 euro al mese”. I lavoratori percepiscono che “in tutto ciò gli unici a non essere tutelati siamo noi, parte più debole dell’ingranaggio” e s’interrogano sul ruolo dei “tanto decantati diritti costituzionali, adesso ribaditi anche a livello europeo”.
“Non abbiamo – sottolineano con amarezza – dignità lavorativa e sociale. Apparteniamo quasi tutti a famiglie monoreddito, chi (dei destinatari della lettera, ndr) riuscirebbe a ‘campare’ con delle simili miserie? E beffa tra le beffe, chi riuscirebbe a sopravvivere se la, sebbene misera, paga fosse corrisposta una volta tanto, a seconda della disponibilità di non sappiamo bene chi? Ministero, Regione, Ente di utilizzo? Fa lo stesso, poiché rimane certo che è da ben 4 o 5 mesi che i nostri portafogli non vedono un centesimo”.
Alla luce di questa situazione, i lavoratori annunciano “un sit-in di protesta presso lo stesso luogo di lavoro”.