Scuse non accettate

Se, inavvertitamente, pesto i piedi a qualcuno camminando per strada, l’educazione mi impone di chiedere scusa; se, più in generale, nella vita quotidiana di tutti i giorni, una mia parola, una mia mancanza o un mio atteggiamento possono, senza che fosse questa la mia intenzione, aver offeso qualcuno, ho il dovere di chiedere scusa. Se, però, sono a capo di una Amministrazione pubblica dalla cui (in)azione dipendono il destino e la dignità umana di centinaia di migliaia di persone che vivono in città e provincia, no, le scuse non solo non sono ammesse, ma suonano anche come una vigliacca ritirata dalle responsabilità.

E’ esattamente quello che ha fatto Giuseppe Falcomatà, ai piedi della Sacra Effige della Madonna della Consolazione, in occasione della tradizionale offerta del cero votivo svoltasi in Cattedrale. A chi si è assunto l’onere di prendersi cura di una comunità trasmutandolo in un onore immeritato, infatti, non è concesso il diritto di addurre giustificazioni di sorta, soprattutto se gli ultimi sette anni sono stati sporcati dalla sua stessa inabilità gestionale, unica colpevole della disperazione che avvolge Reggio Calabria. Il percorso che egli ha compiuto dall’ottobre del 2014 è costellato da fallimenti ed errori di presunzione, da miserie umane e decisioni fallaci, da prese in giro e bugie, da sotterfugi e meschinità, da finzioni e falsità: nient’altro che sia di qualità appena sufficiente dinanzi agli occhi liberi di un osservatore, disincantato ma dotato delle conoscenze necessarie per formulare un giudizio compiuto e svincolato dall’imbecillità, è visibile, di nient’altro di appena degno il Primo Cittadino si è reso autore. In molte circostanze si apprezza l’impegno, almeno quello, ma non è questo il caso se Falcomatà, da sindaco della città più grande della Calabria e da sindaco metropolitano, si è persino tolto lo sfizio di partecipare (e vincere, presumibilmente dopo aver sacrificato tante e tante ore sull’altare di uno studio matto e indefesso) ad un concorso pubblico, che lo porterà un giorno ad occupare una sedia impiegatizia dietro una scrivania impiegatizia a Palazzo Marino, sede del Comune di Milano. Nessun vittimismo il sindaco interpreti con rivedibili doti attoriali regge più alla prova dei rubinetti asciutti e delle strade concesse in appalto ai topi che dominano le cime tempestose di rifiuti. Nessuna attenuante può essere accordata a chi continua, stimolato dall’egocentrismo, a proporsi e riproporsi, direttamente o per interposta persona, su una scena che non è, né mai sarà la sua. Ogni essere umano, del resto, dispone di talenti che è generoso mettere a disposizione dell’interesse collettivo: Giuseppe Falcomatà, come tutti i giorni di questi ultimi sette anni hanno dimostrato impietosamente, non dispone del talento occorrente per ricoprire la carica di sindaco, ma questa consapevolezza non ne frena la smania di primeggiare e comandare: è questa la massima espressione di superbia e rappresentarla in un luogo sacro in una circostanza sacra costituisce, per definizione, un atto sacrilego.

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