Regionali. La Lega prova la fuga in avanti, ma stavolta c’è chi la stoppa

Rimane imperscrutabile la ragione politica che ha spinto ad un passo così deciso un elemento minoritario dell'alleanza

La Lega ci prova, anzi, ci sta già provando senza neanche saperlo. La sostanza, però, non cambia e nemmeno l’esito, qualora l’errore fosse reiterato. Prima ancora che sia, molto lentamente, avviato l’iter per riportare i calabresi alle urne dopo la disgraziata scomparsa della presidente Jole Santelli, i salviniani sono stati velocissimi a fare la prima mossa.

Alla presenza dei massimi rappresentanti locali Matteo Salvini ha tracciato il solco entro cui camminare sia in questa fase di transizione che sarà governata da Nino Spirlì, facente funzioni in quanto vicepresidente, sia in quella immediatamente successiva che riguarda strategia da adottare e preparazione di liste. Di quello che succederà nell’ambito dei fragili equilibri interni al partito in Calabria interessa solo militanti ed elettori di quella parte, ma al resto della cittadinanza, invece, riguarda, e anche parecchio, cosa i leghisti intendono fare soprattutto, e qui arriviamo al punto cruciale, perché essi hanno dimostrato, appena qualche settimana addietro, di non aver ancora costruito granché né in termini di dirigenza politici né in termini di programmi. Il risultato insoddisfacente conseguito a Reggio è un campanello d’allarme che dovrebbe far drizzare le orecchie agli alleati. Riproporre, da parte del centrodestra, le medesime dinamiche messe in atto in riva allo Stretto, è ciò che il centrosinistra auspica per riprendersi la guida di Palazzo Campanella e della Cittadella prossimamente intitolata a Jole Santelli. Perché l’obiettivo diventi possibile, il miglior alleato rischia di essere proprio la Lega che, al termine dell’incontro tenutosi alla corte del proprio leader, ha tentato di dettare tempi e modalità al resto della coalizione. Con una nota ufficiale e con le parole del Segretario regionale, il bergamasco Cristian Invernizzi, le milizie salviniane hanno provato la fuga in avanti verso “un profilo condiviso” ed “un nome unitario” da individuare da qui a dieci giorni, annunciando un vertice imminente con Giorgia Meloni (Fratelli d’Italia) ed Antonio Tajani (Forza Italia). Rimane imperscrutabile la ragione politica che ha spinto ad un passo così deciso un elemento minoritario dell’alleanza. Gli accordi scaturiti dal tavolo nazionale, dai leghisti agitati come fossero un totem indiscusso nel periodo antecedente la Caporetto reggina, avevano incasellato la presidenza della Regione Calabria in quota Forza Italia e ora, questa è la sensazione, stordito da una batosta dietro l’altra, qualcuno starebbe cercando la via breve per rimetterli in discussione. Bene ha fatto, a strettissimo giro di posta, il presidente del Consiglio regionale Domenico Tallini, a prendere in mano le redini della situazione, evitando di farsele sottrarre dalla spregiudicatezza di taluno. Un avviso ad eventuali naviganti che volessero approfittarne dando corpo all’idea di speculare sull’emergenza sanitaria, ma anche un brusco stop ad autoproclamazioni di supremazia delegittimate da fatti, numeri ed intese pregresse. C’è la necessità di dare continuità all’azione di Jole Santelli, c’è l’obbligo che un presidente ed una Giunta con pieni poteri affrontino le curve pericolose all’orizzonte di un’epoca funesta, c’è l’urgenza di rispondere ai bisogni economici di un popolo piegato. La massima autorità dell’Assemblea legislativa calabrese ha parlato a nuora perché suocera intenda e. già che c’era, si è assunto la responsabilità di riportare immediatamente il negoziato prossimo venturo sui giusti binari di democratici rapporti di forza, unico bastione a protezione da prepotenti derive dispotiche. Ci fosse stato un Tallini a Reggio, con ogni probabilità il centrodestra non avrebbe pianto lacrime amare.


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