Prezzi alle stelle, stipendio (per chi ce l’ha) inchiodato: così non si campa più

Crisi e divisioni sociali: il lavoro e la consapevolezza come mezzi per tornare al mondo delle cose reali

Gli occhi rivolti agli scaffali sono ben aperti. Perché fare una “spesa sostenibile” è diventata un’operazione complicata. I prezzi dei beni alimentari, già in fase di decollo nei mesi scorsi, hanno subito una nuova impennata: pane, pasta, olio, latte, frutta cominciano a non essere alla quotidiana portata di tutti perché l’importo dello scontrino, a parità di quantità e qualità rispetto a prima, in alcuni casi è quasi raddoppiato. Non parliamo dell’inflazione misurata dall’Istat su un ampio paniere di beni, non parliamo del 7-8% comunicato dai telegiornali, parliamo dei costi reali che ogni famiglia deve sostenere alla cassa del supermercato. Un esempio banale: un litro di latte parzialmente scremato di una generica marca prima acquistabile (senza offerta in volantino) a un prezzo tra i 79 e gli 85 centesimi, oggi impone un esborso di 1,59-1,69 euro. Una mazzata per chi deve destreggiarsi con il carrello della spesa perché si tratta di qualcosa di indispensabile, da comprare praticamente ogni giorno. Aumenti di rilievo (ma più contenuti) anche per carta igienica, bevande, carne, prodotti per l’igiene personale. Persino il prezzo dell’acqua vede la freccia in sù. Salari e stipendi, invece, sono sostanzialmente rimasti inchiodati. Non tocchiamo il tasto di misure come l’assegno unico: con la cancellazione dell’assegno dei “tre figli” e delle detrazioni, spesso ci abbiamo rimesso. Con la stessa quantità di moneta una famiglia può acquistare un numero di beni decisamente inferiore rispetto a 7-8 mesi addietro. Ribadiamo il concetto: beni primari, non voluttuari. Contestualmente, il peso di bollette (non solo per energia, ma anche quelle relative alle tasse) è diventato sempre più opprimente riducendo i margini di manovra. Di fatto, è impossibile mantenere lo stesso stile di vita, soprattutto per chi deve mantenere figli o pagare l’affitto di casa. Le aziende, gli artigiani, i piccoli produttori arrancano e pensano a quanto potranno resistere con la saracinesca alzata.

La vera emergenza che il Governo deve affrontare è proprio questa: non consentire l’espansione incontrollata delle sacche di povertà, frenare la riduzione dei consumi, bloccare tutte le azioni – di carattere finanziario o anche economico e pratico – che rischiano di togliere dignità agli italiani. Di più: non si può accettare che i ricchi, speculando come sempre accade nelle grandi crisi, si arricchiscano sempre di più a scapito di chi non può difendersi da lobbies e poteri non meglio definiti. Servono interventi immediati per affrontare l’urgenza, come servono piani a medio-lungo termine per salvaguardare gli interessi collettivi. Le responsabilità non sono solo della politica: ogni cittadino deve, ad ogni modo, curare le proprie conoscenze e comprendere gli effetti delle proprie azioni (fare la differenziata, gestire il consumo di acqua ed energia, votare con saggezza anche in occasione di referendum decisivi per l’economia nazionale) e non abbandonarsi a sguaiate richieste di diritti senza contestuale rispetto dei doveri. La strada è in salita e ognuno deve essere cosciente che se ne può uscire solo con la garanzia di un lavoro adeguatamente retribuito (leggendo la Costituzione dovrebbe essere scontato) e non della mera assistenza. È il lavoro che può evitare divisioni sociali, che consente di programmare il futuro, che rende liberi. Occorre tornare all’economia reale, mollando quella finanziaria. Ricordando che ci sono valori che dovrebbero assistere l’uomo in ogni tempo e in ogni luogo.

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