
Nei giorni scorsi sono stati pubblicati stralci delle conversazioni Whatsapp intercorse tra i componenti della Giunta in relazione alla famigerata assegnazione, oggetto di materia processuale, del “Miramare”, da parte dell’Esecutivo di Palazzo San Giorgio all’amico del sindaco, Paolo Zagarella, titolare dell’associazione “Il Sottoscala”.
Quel che colpisce del contenuto dei messaggi trascritti nelle motivazioni della sentenza di primo grado che ha inflitto la pena di un anno ad Angela Marcianò, all’epoca assessore comunale ai Lavori Pubblici , unica imputata ad optare per il rito abbreviato, non è la rilevanza giudiziaria degli stessi quanto la pochezza esplicita di piccoli smargiassi proni ai diktat del loro capetto. Sia il tono che la sostanza delle frasi lette indicano, infatti, inequivocabilmente, l’assenza di qualsiasi confronto interno alla Giunta, la mancanza di fiducia del Primo Cittadino Giuseppe Falcomatà nei confronti dei suoi stessi assessori, intimiditi con immediate richieste di dimissioni per questioni che nulla avevano a che vedere con le dinamiche della politica, ma solo con l’immaturità malata di rapporti interpersonali fondati sul terrore psicologico. Una perversione che scaturiva da una banale consapevolezza: nessuna altra arma, né quella del carisma, né quella della leadership riconosciuta, era nella disponibilità del sindaco per sottomettere ai suoi desiderata i componenti della Giunta. Essi, da parte loro, hanno avuto nel corso dell’ultimo quinquennio, la responsabilità gigantesca di non essersi ribellati, di non aver emarginato i servi certificati del Primo Cittadino che li ha politicamente creati, di non aver fatto fronte comune con i consiglieri comunali della maggioranza insoddisfatti e mettere spalle al muro il falso profeta della “Svolta”. Invece è successo l’esatto contrario: tutti zitti, allineati e coperti, semplici vassalli del reuccio che, ingannato dalla realtà virtuale narratagli dai cortigiani, ha sbandato rovinosamente stroncando le aspirazioni della città. Anche quei pochi esponenti del centrosinistra che, fuori tempo massimo, hanno provato a mettere fuori il naso dalle comode tane in cui si si erano acquattati per un lustro, si sono silenziosamente ritirati in buon ordine e senza degnare la cittadinanza di una sola spiegazione circa le motivazioni del loro mesto ritorno alla base. Per lo spazio di un mattino hanno alzato la testa, evidentemente per una strategia politica eterodiretta che è presto naufragata sotto il peso dell’insostenibile leggerezza dell’inidoneità, palese, ad assumere incarichi pubblici. Questo è ciò che è successo nel recente passato, superato dagli eventi degli ultimi giorni durante i quali gli addetti ai lavori si sono esercitati nel giochino di scoprire chi, tra i modesti protagonisti di questa spregevole vicenda, è uscito peggio dalla diffusione delle comunicazioni su Whatsapp tra i baldi ed arzilli membri del gruppo che, per un tempo imperdonabilmente lungo, ha avuto in mano le sorti della comunità reggina. La risposta è semplice: tutti loro, con le rispettive bassezze, morali ed etiche, rese manifeste con le tipiche frasi traboccanti tracotanza proprie delle nullità che per una sera si ritrovano catapultati in un mondo sfavillante preordinato per ricacciarli fuori nel loro piccolo mondo di meschinità. Bugie vili variamente assortite e che facevano gonfiare il petto ai Neri ed ai Muraca, agli Zimbalatti ed alle Marcianò (“E’ pacifico – scrive il giudice – quindi che la donna fosse ben al corrente della pubblicazione e di ciò che il Primo Cittadino era chiamato a riferire all’opinione pubblica per giustificare quanto stava accadendo e per spiegare una delibera che aveva avuto una tribolata, ma definitiva, approvazione degli assessori”.