*di Michele Furci – Si tratta di una decisione estremamente positiva per il mondo del lavoro poiché, oltre al merito delle questioni poste nella piattaforma rivendicativa unitaria, la decisione avvia la ripresa di un certo protagonismo dell’organizzazione che rappresenta milioni di lavoratori e pensionati. E per comprendere la portata dell’effetto positivo già prodotto nel vasto mondo rappresentato dal sindacalismo confederale, è sufficiente osservare come ha reagito subito l’autocrazia mediatica che, al contrario, avendo insaccato il colpo, vorrebbe far passare l’idea che la centralità del dibattito sociale non apparterrebbe ai rappresentanti del complesso mondo del lavoro, bensì al mondo degli affari speculativi e della finanza da cui dipende quel che resta dell’apparato produttivo italiano.
È bastata una prima rivendicazione collettiva dei veri protagonisti della produzione della ricchezza nazionale, seppure non del tutto unitaria, per far comprendere quanta distanza rimanga tra il mondo della politica e la società reale. Quella società di uomini e di donne in carne e ossa che, nonostante le grandi trasformazioni sociali, soltanto un sindacato rigenerato può veramente rappresentare.
Che sia dunque l’inizio di una nuova stagione in grado di porre al centro degli interessi del Paese un nuovo protagonismo sociale in grado di far fare un passo in avanti alla democrazia economica. Soltanto l’entrata in campo di milioni di addetti al complesso e variegato mondo delle produzioni e dei servizi potrà rinnovare le stesse forme della democrazia politica.
La storia ci dimostra che l’avanzamento sociale anticipa i processi e le forme della politica e non viceversa. Infatti, contrariamente ai tanti luoghi comuni che sostengono il contrario, è l’avanzamento sociale del mondo delle produzioni che anticipa i nuovi diritti politici, poiché se essi si affermeranno nella dirompente nuova struttura produttiva, che promana dalla stratificazione prodotta dalla IV rivoluzione industriale tecnologica e digitale, sbocceranno nuove rinnovate comunità politiche.
Perché ciò avvenga, il Sindacato deve avere il coraggio di osare di più rivendicando una nuova centralità nella gestione dell’Impresa, poiché soltanto conquistando un ruolo decisivo nella politica industriale aziendale si potrà fermare l’arbitrio e costruire un nuovo orizzonte in grado di governare in maniera collettiva le politiche delle multinazionali nel sistema globale.
L’unico modo per restituire certezza allo sviluppo economico produttivo dei territori, fermare la precarietà del lavoro, impedire le delocalizzazioni speculative e rendere protagonisti gli stessi organi rappresentativi delle Istituzioni dello Stato, è quello di restituire al Mondo del Lavoro e a chi lo rappresenta l’eguale centralità del capitale e l’effettivo potere di controllo nelle gestioni delle politiche industriali delle Imprese. Tanto più che in questo ambiente storico, con la finanziarizzazione pubblica dell’economia, delle grandi reti e dell’insieme del Welfare, senza il protagonismo sindacale nel sistema impresa oltre ai lavoratori rimane fuori gioco anche la stessa sovranità politica dello Stato.
D’altronde, senza il protagonismo del Sindacato dei lavoratori non possono esistere relazioni industriali in grado di gestire il conflitto alla pari del capitale. Impedendo il pieno esercizio della rappresentanza sindacale, espropriandolo dall’uso del potere contrattuale, di fatto si annulla il principio contenuto nel comma II dell’art. 41 cost secondo cui l’impresa: “Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”.
Il fine sociale, eludendo questo principio, non esiste più poiché le nuove forme dell’impresa sovranazionale in maniera unilaterale delocalizzano a piacimento senza che, addirittura, nemmeno lo Stato possa porre un limite all’arbitrio.