Ospedali da incubo, “Le Iene” si sono nutrite del barbaro menefreghismo dei calabresi

Ci siamo ridotti, a rinchiudere la nostra coscienza critica nel recinto dei social media

Su, mi raccomando, che nessuno perda l’occasione di puntare l’indice contro la politica corrotta, contro i “ladroni” che sempre, invariabilmente nei decenni, hanno soffocato le aspirazioni dei calabresi brava gente, rigettandoli negli inferi del sottosviluppo.

E’ ciò che accade in tutte le circostanze in cui i riflettori di una trasmissione nazionale gettano un fascio di luce inquietante sulle nostre, sì nostre, infamie miserabili. L’ultimo episodio del genere è stato rappresentato dal servizio sugli “ospedali da incubo” trasmesso da “Le Iene”, su Italia 1. E già, perché, per un attimo, proviamo a spogliarci dell’immutabile sovranismo psichico che ottunde i cervelli di ciascuno di noi e tentiamo di guardare a quel quarto d’ora di indicibile squallore con lo sguardo di un veneto o di un friulano che, fino a quel momento, ignorava quale fosse il livello di turpitudine in cui versano le strutture sanitarie della terra nella quale respiriamo. Perché il punto è proprio questo, il telespettatore veneto o friulano o di qualsiasi altra parte del mondo, salvo i tanti sfortunati cittadini africani che sono i soli a doversi affidare a centri medici in uno stato così inammissibile, possono ben meravigliarsi, possono ben scandalizzarsi, ma noi no. A noi calabresi, non è consentito: sarebbe troppo comodo farlo, ma non ce lo possiamo permettere, poiché se la situazione è precipitata fino ad arrivare ad un fondo così buio di ignominia la responsabilità è esclusivamente nostra e non della politica, come troppo spesso blateriamo in maniera inconcludente. Ottocento milioni di euro buttati ogni anno senza alcun rendiconto, senza sapere dove vanno a finire suonerebbero disonesti ovunque, ma non nella terra di Calabria. Quegli stessi occhi che ci hanno fatto inorridire davanti allo schermo del televisore durante i minuti in cui andava in onda il disonore, dove si posano quando entriamo in un qualsiasi ospedale calabrese? Lo sanno bene quei veneti, quei friulani o, comunque, quei connazionali che, infatti, dando stamane un’occhiata attenta ai social network, non si sono scagliati contro i “politici calabresi”, ma hanno reagito, legittimamente, contro ciascuno di noi e, dunque, contro chi ha permesso che nel corso del tempo maturasse un lerciume, morale e civile, di questa portata. Siamo noi che, come un Mario Oliverio qualsiasi, mentre ci vengono spiattellati dalla realtà i fatti nudi e crudi per come sono, scappiamo con codarda vigliaccheria, come se l’innocenza si fosse posata su di noi per grazia divina. Siamo noi che, come una Giulia Grillo qualsiasi, attuale ministro della Salute targata M5S, mentre lancia la sua lingua biforcuta contro il presidente della Regione, si sente dire dalla “Iena” che quel Commissario al Piano di rientro, su cui lei pone tutte le speranze per tagliare le unghie diaboliche al famigerato Governatore, ha già provveduto a nominare all’Azienda sanitaria provinciale di Reggio Calabria un dirigente apicale sprovvisto di requisiti e coinvolto in una vicenda relativa a presunte “spese pazze”. Una perfetta rappresentazione del fatto che la politica, con qualunque sfumatura cromatica essa si presenti, ha analoghe colpe nella misura in cui i depositari della sovranità popolare, dopo il voto (il più delle volte regalato al compagno di merende dell’amico) delegano le loro responsabilità strafottendosene poi di difendere con i denti i propri diritti basilari. Dal 2013, dunque da sei anni, quella stessa Asp non presenta i bilanci: un gigantesco reato su cui nessuno tra gli organi di controllo deputati ha sentito il dovere di eseguire gli accertamenti del caso. Una voragine di legalità della quale nemmeno la tanto decantata magistratura si è accorta, come non si è accorta dell’assenza di bandi per l’affidamento di appalti poi assegnati sotto soglia, uno dietro l’altro, a ditte della ‘ndrangheta. Nessuno che si sia reso conto dell’assenza di collaudi e, incredibile a dirsi, nessuno che si sia espresso con una sola sillaba in merito a ruoli ed incarichi assegnati senza concorso. Se queste sono omissioni degli uomini e delle donne che fanno parte del sistema, però, c’è una smisurata indifferenza da parte dei cittadini-contribuenti-pazienti che, sebbene manchi per anni e anni un banalissimo macchinario per eseguire una radiografia, fanno spallucce prima di urlare, si fa per dire, la propria finta (quanto idiota) indignazione su Facebook. Perché a questo ci siamo ridotti, a rinchiudere la nostra coscienza critica nel recinto dei social media, occupato per intero dal pozzo avvelenato dell’ignoranza e dell’immaturità civile. C’era forse bisogno di guardare “Le Iene” per sapere che nell’ospedale presso cui, magari, ci siamo recati stamattina la manutenzione è inesistente? C’era la necessità di vedere la trasmissione televisiva di Italia 1 per venire a conoscenza che, da queste parti, il giochino meschino dell’arraffa arraffa è più popolare del calcio? Senza una autentica ribellione morale al putridume etico dal quale, tutti, siamo ricoperti perché tutti vi contribuiamo lanciando i nostri schizzi di malcostume, sono encomiabili e da applaudire le popolazioni del Nord che si sono limitate, fino al momento, a pretendere l’autonomia con le armi della politica (sì, la politica), senza arrivare ad una secessione tranchant da questo contesto ripugnante.

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