
A meno di 48 ore dal voto del primo turno andò ad accendere le luci del Parco Lineare Sud, in una sorta di simil inaugurazione di un’opera incompiuta. Due settimane più tardi, ha chiuso la campagna elettorale per il ballottaggio ai piedi della scalinata che si affaccia sul Lido Comunale, un’altra incompiuta inagibile e di fronte al monumento al degrado un tempo struttura turistico-balneare attrattiva come poche altre nel Mediterraneo. In queste due istantanee, da mettere a fuoco nel giorno della sua proclamazione, si condensano, insieme, la forza e la debolezza di Giuseppe Falcomatà.
Da un lato ha dimostrato di non aver bisogno di esibire nemmeno lavori compiuti, ma solo cantieri che, in qualsiasi altro contesto, sarebbero stati utilizzati dagli avversari per puntare l’indice contro il Primo Cittadino. Dall’altro si è presentato, simbolicamente, con la sintesi perfetta del suo primo mandato: un “vorrei ma non posso” da leggere in controluce e tradurre con un “vorrei ma non ci sono riuscito”. Visto l’esito emerso fragorosamente dalle urne, non si è trattato di un ostacolo alla sua riconferma, anche se onestà intellettuale pretende che si prenda atto di un dato: Falcomatà, paradossalmente, ha beneficiato di un impetuoso voto contro il candidato rivale, difficile da quantificare, ma consistente. Una beffa per il centrodestra che, privo di idee, strategia e (per colpe specifiche di personaggi specifici) materiale umano, si era mosso seguendo l’unica direttrice possibile: un referendum pro o contro il sindaco. E la maggioranza degli elettori ha espresso la propria preferenza a favore del Primo Cittadino nonostante gli errori commessi nel corso dei sei anni del primo mandato, facendo prevalere un sentimento di profonda diffidenza nei confronti di un “soggetto ignoto”. Il centrodestra aveva scommesso su una figura di bassissimo profilo puntando tutto sulla convinzione che i reggini avrebbero optato per chiunque, nonostante fosse depositario di limiti esorbitanti, pur di liberarsi di Falcomatà. Tra i due “nonostante”, come era ampiamente prevedibile per tutti, ma non per gli orecchianti della politica che affollano il campo della compagine guidata da Antonino Minicuci, ha prevalso quello autoctono e più rassicurante. Anche questa una apparente bizzarria, ma a risultare decisivo non è stato il timore dell’invasione dei “barbari leghisti” (ipotesi del tutto inverosimile vista la percentuale imbarazzante raggiunta due settimane addietro dalla lista salviniana), ma quello di un salto nel buio impersonato da un signore attempato, sconosciuto, inelegante, incapace anche di sfoggiare le (eventuali) competenze perché coperte da atteggiamento e linguaggio rozzi e non degni di un Primo Cittadino, impreparato al punto da darsela a gambe levate davanti ai confronti con gli altri candidati. Quella stessa impreparazione che, nel corso del tempo, è stata imputata al sindaco che, però, dopo sei anni di esperienza, ha avuto l’opportunità di piazzarsi al cospetto degli elettori assicurando di aver fatto tesoro dell’esperienza accumulata in un periodo di vacche magre. Come dire, fidatevi: non potrà che andare meglio, anche in virtù delle condizioni finanziarie non più disperate come quando sono arrivato nell’ottobre del 2014. Proprio a valle della scalinata, venerdì sera, ha posto l’accento sul fatto che i reggini pretendono partecipazione e condivisione nelle scelte che li riguardano: una constatazione veritiera, ma che, fino a qualche mese fa, non era sembrato fosse cara al sindaco, al quale, anzi, è stato più volte contestato il comportamento contrario. Essersi chiuso dentro Palazzo San Giorgio senza riuscire a trovare quella empatia utile a fare di una guida formale un capo carismatico, un modo di fare che, a lungo, ha dato una sensazione di isolamento e indifferenza rispetto ai drammi vissuti dalla città. La svolta in questo senso è arrivata con il lockdown. Già durante i due mesi di clausura forzata Falcomatà è sembrato, per la prima volta dall’inizio della consiliatura, riuscire ad intercettare il sentimento collettivo della comunità. Un incremento che, in parte, ha capitalizzato, allontanando da se quell’acredine irriducibile coltivata da una parte importante dell’opinione pubblica. A questo vento contrario, comunque, anche nei tanti momenti bui sul piano amministrativo, ha sempre opposto, nei fatti, un dominio totale sul centrosinistra, una leadership esercitata in tutti gli snodi decisivi per il Partito Democratico e per la maggioranza. Non è un mistero che moltissimi siano stati i mal di pancia, per usare un eufemismo, sofferti da consiglieri ed assessori nel corso del tempo, ma anche quando sono emersi alla luce del sole il Primo Cittadino non ha incontrato grosse difficoltà a tenerli a bada. Una stretta sulla sua compagine che il centrodestra, sia all’interno che all’esterno del Palazzo, ha sempre sottovalutato e non compreso nei suoi effetti pratici. Adesso, legittimato da una conferma che non ammette repliche di sorta, al netto dei numeri più esigui conquistati rispetto al 2014, ha un ulteriore vantaggio da sfruttare: essendo al secondo mandato, è libero dal peso di dover muoversi nell’ottica del mantenimento della carica. Una condizione che, con intelligenza politica, potrebbe aiutarlo a sganciarsi da equilibri schiavi di irremovibili logiche a tutela dei soggetti inadatti e a nocumento di capacità e competenze. Se è vero come è vero che la sua carriera prevede successivi passaggi nella Capitale, è bene rendersi conto per tempo che servirà una condotta diversa rispetto al resto del mondo che non gli ruota attorno. Affinché riesca a cambiare è fondamentale liberarsi dai fantasmi della diffidenza e altrettanto importante non dividere in maniera manichea l’universo in buoni e cattivi, ove i primi sono soltanto i fedelissimi e i secondi tutti gli altri. Tanti dei suoi problemi sono stati generati dalla angusta cerchia remissiva che lo ha riempito di conferme, ma svuotato di utili consigli. Già dalle primissime mosse, quelle che riguarderanno le persone dalle quali farsi attorniare a Palazzo San Giorgio e a Palazzo Alvaro nel secondo tempo della partita da giocare per la salvezza di Reggio, sarà possibile capire se, effettivamente, gli sbagli ammessi nel corso della campagna elettorale, saranno stati severi maestri o evanescenti artifici retorici da gettare in pasto all’elettorato.