Nicola Irto, l’oligarca del PD che gioca a fare il leader “rivoluzionario”

Se non avesse ricoperto ruoli apicali nelle istituzioni calabresi e, quindi, non avessimo sempre avuto piena contezza di dove fosse in questi anni, la domanda da porre a Nicola Irto, che oggi si è candidato ufficialmente alla Segreteria regionale del Partito Democratico, sarebbe una ed una sola: “Da quale pianeta sta sbarcando?”

Le parole che ha pronunciato in occasione della conferenza stampa, infatti, sarebbero ben stampate se masticate a mezza bocca da qualcuno che con le scelte e le politiche di quella forza politica non ha avuto nulla a che fare. Invece, appunto, così non è. A scanso di equivoci, è cosa buona e giusta che, dopo un tempo infinito di deprimente e depresso commissariamento, si sia finalmente inaugurata la stagione congressuale è già una notizia da salutare positivamente. Ma i motivi di giubilo da quelle parti finiscono qui e non solo perché anche le pietre, anche quelle non scagliate, hanno occhi ed orecchie per vedere e sentire caratteri ed echi degli odi viscerali e dei rancori irriducibili che covano tra le pedine calabresi del PD alimentate solo dalle batterie delle ambizioni e delle mire personali. Se chi si candida alla massima carica interna si precipita giù dal burrone di un ragionamento che si sintetizza nella frase: “E’ importante che il PD torni in Calabria e si rigeneri nei metodi e nei modi”, diventa della massima urgenza lanciare un’allerta di scomparsa della memoria e della ragione. Perché quello stesso PD di cui ora Irto lamenta l’eclissi ed auspica un reset completo è il medesimo che ha ricoperto con palate di bassezze e pochezza la Regione, mentre lui era presidente del Consiglio a Palazzo Campanella e Mario Oliverio dettava legge alla Cittadella. “Dobbiamo dare diritto di cittadinanza a tutti quelli che vogliono cambiare questa regione” ha tuonato, quasi fosse un leader rivoluzionario che mobilita la piazza per strappare il potere dalle grinfie degli oligarchi rintanati nei sontuosi edifici istituzionali. Ebbene il furbastro Irto di quegli oligarchi è il peso massimo, il detentore del titolo, il campione per eccellenza. Per dare sostanza al suo grido di battaglia si è detto certo “che ci sia una nuova generazione che può raccogliere questa sfida in Calabria. Abbiamo dirigenti che sono in grado di fare la differenza e di poter reggere le sfide che abbiamo davanti”. E’ questo il picco più elevato delle minacce all’intero popolo calabrese: se la nuova generazione del Partito Democratico in Calabria è incarnata nelle persone di Nicola Irto, Sebi Romeo e Giuseppe Falcomatà, tanto per fare tre nomi a caso, sarebbe cosa buona e giusta barricarsi in casa finché non si trova un vaccino efficace che debelli la cattiva politica fatta di clientele e propaganda da accattoni, di manovre compiute “col favore delle tenebre” e favori da distribuire ad amici e compari. “In Calabria non siamo tutti brutti, sporchi e cattivi”, è stato l’unico concetto espresso che è andato in direzione della verità, ma, anche in questa circostanza, non coltivi illusioni facili facili: non si tratta, infatti, di una rivendicazione che lo riguarda né che riguarda quei “dirigenti che sono in grado di fare la differenza”.

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