‘Ndrangheta e assunzioni: l’onta dell’infamia sugli scudieri di Falcomatà

La parabola, breve ma non indolore per Reggio Calabria, si conclude qui

Sia chiaro: siamo appena alle battute iniziali di un lungo iter giudiziario ed il presupposto ideale da cui partire è che quando una persona finisce sotto inchiesta a dirlo sono soltanto gli inquirenti la cui versione, in un Paese improntato ai valori della civiltà giuridica, dovrebbe avere, una dignità pari, e non superiore, a quella propugnata dagli accusati.

Sebbene possa apparire una battaglia persa in partenza di fronte alla famelica opinione pubblica avvelenata da un’informazione giacobina ed al garantismo ad intermittenza delle forze politiche, essa rimane comunque è talmente decisiva ai fini di un corretto equilibrio dei poteri che vale sempre la pena sia combattuta. L’inchiesta “Helios“, che ha messo sotto i poco invidiabili riflettori giudiziari gli uomini più influenti dell’Amministrazione Falcomatà è la perfetta testimonianza che chi di giustizialismo ferisce di giustizialismo perisce. Le accuse a carico del vicesindaco Armando Neri, braccio destro e sinistro del sindaco di Reggio Calabria, di Nino Castorina, capogruppo del Partito Democratico in Consiglio comunale, nonché consigliere metropolitano, di Giovanni Muraca, altro fedelissimo del Primo Cittadino e che, tra l’altro, ha gestito le deleghe alla Polizia Municipale ed alla Legalità, sono molto gravi e gettano cumuli di doppiezza su quella “montagna di merda” retoricamente richiamata da Falcomatà durante qualche passerella mediatica a favore di social quando l’etichetta ha imposto qualche parola di circostanza contro la ‘ndrangheta. Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti i tre, assieme ad altri tra cui l’ex dirigente alla Viabilità della Città Metropolitana, Domenica Catalfamo, attuale assessore regionale (che in Giunta siede con il blindato “Capitano Ultimo”, assessore all’Ambiente Colonnello Sergio De Caprio), e qualche consigliere comunale sparso, avrebbero “esercitato indebite pressioni al fine di ottenere l’assunzione di personale segnalato” ad AVR, la società che si occupa della gestione dei rifiuti e, secondo quanto riferiscono i titolari dell’indagine, è “permeabile agli interessi mafiosi ed a quelli della cosiddetta ‘cattiva politica’. Dunque, le anime candide che per anni hanno puntato l’indice inseguendo una “Svolta” di cui, peraltro i reggini mai si sono accorti, avrebbero adottato i medesimi comportamenti imputati, sbraitando come ossessi, agli avversari. Oggi è, sul piano simbolico, il giorno del contrappasso: a prescindere dalle responsabilità penali che saranno accertate o meno, quel sospetto di commistione scellerata tra “mala politica” e ‘ndrangheta segna la pietra tombale, politicamente parlando, di figure che devono la loro fortuna solo alla costruzione artefatta di un nemico “brutto, sporco e cattivo”, salvo ritrovarsi davanti allo specchio e riconoscere quelle medesime caratteristiche additate al pubblico ludibrio. Quanta falsità demagogica abbiamo dovuto sopportare in questi anni, quanti ingenui compagnucci dei giovani in carriera hanno creduto alle favole, quante imposture tollerate perché, sì, saranno stati anche pessimi amministratori di Reggio Calabria (le schiappe più inconcludenti della storia), ma, in fondo si tratta di “bravi ragazzi” che non si sono sporcati le mani. Questa era la fiaba senza lieto fine che lo sparuto gruppetto di tifosi si raccontava alle porte di una campagna elettorale nella quale Falcomatà, complice il Coronavirus e la lentezza di riflessi del centrodestra, sembrava tornato in partita. E, invece, no: tutto azzerato, il cerchio si chiude nel modo peggiore per chi, agitando la sdrucita bandiera della legalità, contava ancora di poter rubacchiare qualche manciata di voti puntando sulla dabbenaggine altrui. La parabola, breve ma non indolore per Reggio Calabria, si conclude qui: i suoi scudieri sono tutti lì, a difendersi da contestazioni infamanti. C’è solo da sperare che, proprio perché per anni hanno molestato l’opinione pubblica vantando una superiorità etica messa in dubbio dai loro stessi eroi della Giustizia, abbiano il pudore di scomparire per anni dalla scena pubblica e non pensino nemmeno lontanamente di riproporsi alle prossime elezioni comunali. Sarebbe troppo anche per chi ha fatto della finzione una ragione di vita e lo stesso vale anche per quelli che, integerrimi paladini della dirittura morale, non sanno, finché il percorso processale non terminerà, se hanno condiviso un tratto di strada con figure equivoche: il fallimento varrebbe anche per loro, che non hanno visto, sentito e parlato.

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