Mostra i muscoli (ma sono sgonfi), lancia lo sprint (ma non ha fiato)

Ognuno si serve dell'onestà intellettuale di cui dispone

Provare a buttarla in caciara è l’unica strada percorribile: ragionamento legittimo, ma, tanto per cambiare, sballato nel metodo e nel merito, quello che ha indotto il sindaco di Reggio Calabria, Giuseppe Falcomatà, a cooptare, per sabato mattina, la sua Giunta chiamandola attorno ad un tavolo di Palazzo San Giorgio.

Con una mossa del genere ha pensato di poter illudere lui stesso e l’opinione pubblica che, così facendo, avrebbe, prima di tutto, mandato un segnale di compattezza granitica, ed esibito muscoli che, però, sono risultati essere parecchio sgonfi. Lo sa lui, lo sa la maggioranza e lo sanno dalle parti della minoranza: a Palazzo San Giorgio, nel corso degli anni è stato assai arduo trovare qualcuno, tra agli amministratori, che, off the record, abbia voluto prenderne le difese, tutt’altro. Ed il Primo Cittadino stesso, al pari della maggioranza e della minoranza di cui sopra, sanno altrettanto bene che, da qui a poco, assisteremo alla tradizionale transumanza elettorale verso i lidi che saranno baciati dal sole dalla vittoria. E’ umano, certo, tentare di svegliarsi dal sonno profondo che ne ha segnato, per intero, la consiliatura, per lanciare lo sprint in vista di una fantomatica riconferma, ma è ormai troppo tardi: di fiato per tenere botta non ne è rimasto, o meglio non è mai entrato nei polmoni di una classe dirigente incapace davvero di dirigere una città ansiosa solo di chiudere uno dei periodi più avvilenti della sua storia. L’incontro voluto ieri da Falcomatà ha avuto un unico scopo: quello di cominciare a sollevare un polverone per presentarsi, brandendo le armi della delegittimazione, come il solo competitor provvisto di dignità, morale e politica. Non un buon viatico per chi, dalle parti del Palazzo di Giustizia è andato e, con ogni probabilità dovrà tornarci per la storiaccia del Miramare, giusto per rimanere ancorati a temi di strettissima attualità tralasciando, per esempio, le denunce pubbliche di Angela Marcianò che marchiarono a fuoco l’estate del 2017. Fedele alla propria incoerenza, del resto, un paio di settimane fa il sindaco si è lasciato andare, unilateralmente a dire il vero non essendo stato nemmeno preso in considerazione dall’interlocutore, ad una polemica con il ministro del’Interno Matteo Salvini, ma nel Salone dei Lampadari ne ha indossato i panni intestandosi, in maniera subdola, meriti che non gli appartengono: se i mezzi della “Castore”, oggetto di furto, sono stati ritrovati è molto, molto difficile trovare naturale complimentarsi con il sindaco. E, ad onor del vero, non è arrivato a tanto, ma ha, comunque, scovato il pertugio per strumentalizzare la vicenda e convocare i giornalisti così da lanciarsi in una filippica contro gli avversari che nulla aveva a che fare con il tema della conferenza stampa. Ma tant’è: ognuno si serve dell’onestà intellettuale di cui dispone. Il Primo Cittadino ha ritenuto naturale, nell’occasione, definire gli avversari del centrodestra un “virus che ha portato Reggio sul ciglio del baratro” e “adesso non può pretendere di trasformarsi in cura”. Ammettendo, e non concedendo, che la demonizzazione sia una condotta politica meritevole di rispettabilità, il sindaco, che le cronache vogliono abbia conseguito una laurea in Giurisprudenza e, addirittura, per qualche anno abbia gestito uno studio legale con altri giovani professionisti successivamente tutti catapultati a Palazzo San Giorgio, dovrebbe aver sentito dire che la responsabilità penale è personale e, dunque, anche solo rimanendo sugli scranni dell’attuale minoranza, chi, fra gli attuali consiglieri comunali, avrebbe concorso all’inoculazione del “virus” di cui ha parlato? Se ne è così preoccupato, per evitare di esserne infettato, potrebbe dare un’occhiata dalle parti della maggioranza: si accorgerebbe della presenza, tra gli altri, anche di chi ha condiviso stagioni precedenti e, quindi, secondo la sua discutibile considerazione, sarebbe “portatore sano” di quello stesso “virus”. A ciò si aggiunga che, all’esterno dell’Aula consiliare germogliano energie sane, dalle sfumature di colore le più diverse, impegnate per ridare, finalmente, una speranza ad una città malinconicamente appesa alla Storia perché consapevole di non poter trovare rifugio in un presente angosciante. E, dunque, chiunque si proporrà come alternativa, credibile ed autorevole, allo strazio dell’Amministrazione targata Falcomatà non meriterà, de facto, giudizi carichi di livore furioso. Il sindaco ha poi definito “assordante” il silenzio di una parte della politica cittadina che trova fiato per parlare di tante altre cose, ma poi davanti alla madre di tutte le battaglie, quella contro la criminalità, scompare”. Se solo sapesse quali, e quante, devastazioni abbia prodotto l’antimafia chiacchierona non oserebbe parlare così. Parole in libertà che sarebbero sdegnosamente rigettate dalle vittime della bastardaggine degli ‘ndranghetisti, in seguito trasformatesi in vittime delle vane promesse ingannevoli di quell’antimafia che si è ingrassata, politicamente ed economicamente, sulla pelle dei disperati i quali, loro sì, hanno combattuto a mani nude contro spregevoli picciotti e ignobili capibastone. In fin dei conti: “Il coraggio intellettuale della verità e la pratica politica sono due cose inconciliabili in Italia”. Quando la Sinistra era intellettualmente rappresentata da giganti del pensiero, poteva capitare di imbattersi in frasi del genere: era il 1974 e ad esprimersi così era Pier Paolo Pasolini. E’ solo chiudendosi nella stanza di un glorioso passato che ci si può proteggere dal virus della pochezza: buttate pure la chiave.

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