L’imperativo è categorico: tenere fuori (in tutti i sensi) la ‘ndrangheta dalla campagna elettorale

Il rischio, altrimenti, è quello di non entrare nel merito delle questioni che hanno marchiato l'Amministrazione Falcomatà

Siamo stati facilissimi profeti: l’intemerata fuori tempo ed irriguardosa di Giuseppe Falcomatà, come scritto domenica scorsa, ha causato un innalzamento del livello dello scontro. E’ fuor di dubbio che ciò sia stato proditoriamente provocato dal Primo Cittadino.

Nel corso della conferenza stampa di sabato, ingannevolmente avente ad oggetto il ritrovamento dei due mezzi di “Castore” rubati una decina di giorni prima, il sindaco si era lasciato andare ad un dissennato assalto contro il centrodestra accusandolo, con salti logici opachi, di connivenza con la ‘ndrangheta. Un tentativo maldestro di creare quel caos che gli è necessario per nascondere, purtroppo per lui inutilmente, la sciagurata azione (?) amministrativa di cui si è reso responsabile nella consiliatura che sarà ricordata per inefficienza e modestia dei protagonisti. Era inevitabile, pertanto, che la coalizione avversaria si sentisse in dovere di rispondere a tono e così è stato. Lo ha fatto, nell’immediatezza, per bocca di Lucio Dattola, professionista misurato nei toni e figura autorevole nel panorama politico-economico cittadino. Già sfidante di Falcomatà nella competizione elettorale dell’ottobre del 2014, prima di affondare i colpi, si è servito dell’arco del sarcasmo per colpire il “per nulla amato” che “soffre di vari complessi”. L’esponente della minoranza consiliare ha poi colto un punto che non è indifferente per comprendere le sortite sballate del sindaco “terrorizzato dall’idea di vedere stroncata la propria carriera politica”. E’ una questione dirimente per un “predestinato” che, pur essendo uno sprovveduto sul piano politico, merita di essere considerato mediamente intelligente e, dunque, sa, ed anche bene, che le possibilità di essere riconfermato, in occasione delle prossime elezioni comunali, sullo scranno più prestigioso di Palazzo San Giorgio sono pari a zero. Non gli resta, pertanto, altra freccia che quella della contraffatta bandiera della legalità, ma le parole pronunciate da Lucio Dattola hanno sotterrato anche quest’ultima, disperata, illusione. Volutamente duro per non lasciare adito ad interpretazioni ambigue, ha sollevato ancora di più l’asticella della sfida proprio per dimostrare che, a questo giro, la storiella dei “buoni” contro i “cattivi” non avrà diritto di cittadinanza nelle bettole che qualcuno si sta già accingendo ad allestire. “Noi non ci facciamo intimidire, e ad ogni colpo risponderemo con una gragnuola di colpi. Abbiamo tante di quelle frecce da scagliare in questa campagna elettorale e altre ne stiamo accumulando”, concetti che schiacciano qualsiasi velleità possa essere mai coltivata da speculatori senza scrupoli. A queste riflessioni ha fatto eco, oggi, il centrodestra nelle sue diverse componenti: da Forza Italia a Fratelli d’Italia, dal Movimento Nazionale per la Sovranità all’UDC. I partiti della coalizione hanno inquadrato il confuso assalto falcomatiano in un vano sforzo volto a distrarre l’elettorato dalla sfilza infinita di drammi irrisolti che attanagliano la città. E giù ad elencare una sequenza imbarazzante di rogne che il Primo Cittadino ha contribuito a peggiorare, se non a creare dal nulla. Valutazioni che, inevitabilmente, sono poi andate a finire giù nello stretto imbuto del “re che non fa corna”, “incastrato” com’è in una serie di accidenti giudiziari coinvolgenti lo stesso sindaco o suoi strettissimi congiunti. Rimettendo la palla al centro, adesso che si fa ancora in tempo a non far fuggire definitivamente il pubblico dallo stadio, è bene, allora prendere coscienza dell’importanza della qualità di una campagna elettorale che, per quanto feroce sia prevista, ha l’obbligo morale nei confronti di un’opinione pubblica stremata, di rimanere nei confini della decenza e della responsabilità. Affinché ciò sia possibile, i contendenti, a qualsiasi livello, devono tenere fuori la’ndrangheta dalla porta della contesa. Sono tenuti a farlo in tutti i sensi: prima di tutto allontanando chiunque, portandosi dietro l’olezzo nauseabondo di chi sguazza nella fogna della criminalità organizzata, sia portatore di un numero cospicuo di voti sporchi. Ma sono sollecitati a farlo anche scacciando dal dibattito la tentazione di additare l’avversario come un appestato inaffidabile perché colluso con il sudiciume delle cosche. Il rischio, altrimenti, è quello di non entrare nel merito delle questioni che hanno caratterizzato, purtroppo, l’Amministrazione Falcomatà. E questo è un obiettivo che, almeno a parole, dice di voler inseguire anche il sindaco pro tempore.

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