
Non lamentiamoci, ma riflettiamo. Perché la classe dirigente di un popolo è il frutto della selezione (giusta o perversa) che un sistema sociale pone in essere. In altre parole, la classe politica è il risultato della società in cui viviamo, della comunità che abbiamo plagiato con i nostri comportamenti quotidiani. Di quella società di cui tutti noi facciamo parte e che costruiamo, giorno dopo giorno, con le nostre azioni, piccole o grandi che siano.
Se il massimo organismo regionale dà l’idea di quello che sembra essere, ovvero di un groviglio di interessi che permane semplicemente perché a qualcuno sta bene così, significa che a queste latitudini gli equilibri si formano con criteri che riflettono tendenze sedimentate che hanno trovato terreno fertile nel retroterra culturale di una popolazione che si ribella solo a parole e poi accetta, come se si trattasse di fatti ineluttabili, decisioni che dice di non approvare.
Il rinnovo, che poi tanto rinnovo non è, dell’Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale (leggi qui) dimostra che la politica degli accordi – discutibilissimi ma terribilmente concreti – vince sulla politica dell’evanescente rivoluzione condotta a botte di comunicati stampa, ma priva di sostanza e di visione. Perché se il trionfatore della vicenda è l’highlander Pino Gentile, esponente di una famiglia abituata a lottare come un “cinghiale ferito” quando sente l’odore del pericolo, a perdere non è Mario Oliverio che, da buon “lupo della Sila” accetta il principio del “divide et impera”, ma un’opposizione senza una strategia credibile che mette in pratica la “tecnica degli annunci senza seguito” imputata all’avversario. A cosa servono riunioni con “imperatori” come ospiti d’onore se poi non si ha la percezione di ciò che accade in casa propria? Con chi aveva condiviso le scelte di Wanda Ferro e Mimmo Tallini quella Forza Italia che riesce benissimo a condurre guerre interne ma che non è capace di scalfire chi sta dall’altra parte della barricata? L’ultimo buco nell’acqua è colpa dell’arroganza, del pregiudizio o della presunzione di avere sempre ragione senza neanche ascoltare le altre campane? È più logico che a dialogare con Ap-Ncd sia la maggioranza di centrosinistra (a cui in fondo non costa nulla concedere un posto di cui non dovrebbe disporre) o la minoranza di centrodestra (che pretendendo tutto non ottiene niente)?
L’ennesimo contorto capitolo della politica calabrese ribadisce che chi è al governo punta a galleggiare più che a programmare, mentre chi si propone come alternativa fallisce ancor prima di iniziare.
E a perderci non è chi comunque continuerà a sedersi sulle comode poltrone di palazzo Campanella (o di palazzi romani), ma i calabresi che vedono possibilità di un futuro senza patemi solo lontano da una terra che perpetua antichi vizi e non dà spazio a nuove virtù.
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