
C’era una volta l’Anonima Sequestri che, negli ultimi quattro decenni del secolo scorso, ha imperversato in Sardegna rafforzando, rapimento dopo rapimento, un regime del terrore nei confronti di personaggi benestanti e, in qualche caso, anche famosi. Nel Terzo Millennio, a Reggio Calabria, invece, l’anonimato si occulta, per fortuna, dietro forme tranquille, pacifiche, pressoché innocue.
In comune soltanto quella volontà, mischiata con la necessità, di non mostrare il volto, di non rendere di pubblico dominio le generalità. Ma, se in un caso, quello illecito, si tratta di una ovvietà imprescindibile che consentiva di proseguire il compimento di azioni turpi, resta insoluto il mistero per cui gli organizzatori di una manifestazione si sottraggano alla vista per abitare nelle oscurità. Citando il significato della parola “manifestazione” presente nel vocabolario Treccani, con tale termine si intende, testualmente: “Forma di protesta o espressione dei sentimenti di una collettività o di un gruppo di persone, attuata sfilando per le strade oppure radunandosi in massa in luogo pubblico, e rendendo noto mediante discorsi, slogan, scritte su cartelli e striscioni il proprio atteggiamento relativamente a determinati fatti politici, sindacali, sociali”. Come facilmente intuibile anche dalle intelligenze meno aduse ad un utilizzo educato della lingua italiana, non ci sono margini di ambiguità: una manifestazione, come insegna anche l’etimologia del termine, è intimamente connessa con una dimostrazione palese, scevra da infingimenti. Il contrario di quanto sta accadendo in riva allo Stretto dove, in vista del pomeriggio di sabato 26 novembre, si sta (in forma impersonale) organizzando un “corteo popolare” (così recita la locandina) all’insegna dello slogan “Salviamo Reggio”. Popolare, dunque un raduno voluto e preparato da cittadini. Di grazia, se così fosse: sarebbe possibile conoscerne i nomi e le motivazioni che hanno animato l’idea della protesta? Perché, una persona non lobotomizzata e dotata di libertà (quella genuina, non quella di usare la lingua a piacimento dei propri personali vantaggi) e senso critico merita di sapere, quando convocata in piazza, se la voce che la richiama è quella di uno stupratore di pecore o quella di un candidato alla beatificazione. Nel caso, invece, dietro l’ipocrisia del “corteo popolare” si raccoglie ben altro, la disonestà intellettuale sarebbe nettamente superiore a qualsiasi motivazione, anche la più nobile. Già la stessa furbata di far scendere in strada le persone nell’ora di punta del giorno di punta sul Corso dello shopping e dello struscio è un’idea che si presta con facilità al preciso obiettivo di inseguire l’indistinto tra chi si ritroverà lungo la pubblica via per esprimere dissenso rispetto alla malvagia condotta dell’Amministrazione Falcomatà in Brunetti e chi, da par suo, passeggerà strafottendosene (come sempre) del contesto in cui sopravvive. Strafottedosene, per esempio, del fatto, che, se da una parte ci sono i componenti di una banda di comici nani politici (la maggioranza di centrosinistra), dall’altra fanno bella mostra coloro i quali conservano, a ragione in troppi casi, che la gente si adorni con l’anello al naso. Perché immaginare che un evento simile non sia stato pianificato da esponenti politici è da imbecilli. A fronte di un’evidenza simile, allora, non è facile afferrare cosa induca la politica medesima, in questo caso di centrodestra, a vergognarsi di sé stessa, peraltro sul ring che dovrebbe occupare con piena legittimità, quello della battaglia tra idee contrapposte. Delle due l’una: o non espongo la mia faccia per l’imbarazzo che provo nel mostrarmi, o sono consapevole che farlo allontanerebbe, causa assenza totale di autorevolezza e credibilità, quel medesimo popolo da coinvolgere. Un ulteriore elemento di doppiezza è dato dalle parole che campeggiano sul manifesto in circolazione sui social: “Non ne possiamo più. Reggio è morta”. Benvenuti al mondo, si potrebbe dire: già cinque anni fa, il sempre troppo poco compianto e rimpianto Enzo Vacalebre si era impegnato, con il suo consueto piglio entusiasta mescolato con una rabbia civile mai sottomessa alla rassegnazione, nella pianificazione e nella celebrazione della “Veglia per la città morta”. Con un lustro di ritardo, e nonostante la serie infinita di ulteriori sventure sottoscritte a Palazzo San Giorgio, qualcuno continua ancora a non avere la spavalderia di sfidare a viso aperto un’Amministrazione di miseri ribaldi. Intanto i consiglieri comunali della falsa opposizione di centrodestra permangono, molto ben ancorati, sui loro poveri scranni, indifferenti alla dignità esibita dall’unico eletto dimessosi, Nicola Malasipina. Perché, si dicono adducendo una patetica autogiustificazione non richiesta, dovremmo farlo se, comunque, non otterremmo, l’effetto dello scioglimento anticipato dell’Ente? E, di grazia, qualcuno sogna che ciò sia possibile grazie ad un “corteo popolare”? Povera Patria. Non potendo ammettere, peraltro, che all’origine della sfilata da Piazza De Nava a Piazza Italia, sede del Municipio, emerge la strumentalizzazione della sospensione di Giuseppe Falcomatà dalla carica di sindaco in conseguenza della Legge Severino, disprezzata da (quasi) tutte le forze politiche, gli ignoti promotori buttano nel pentolone disservizi da Terzo Mondo da anni sofferti in ogni angolo di Reggio Calabria, da cui, però, gli stessi, si sono tenuti alla larga, salvo servirsene nel momento del bisogno dettato dalla propaganda: “Carenza idrica, strade dissestate, rifiuti e degrado ovunque, servizi inesistenti, tasse alle stelle”. Vergogne ataviche che indignano chiunque abbia a cuore le sorti del luogo in cui vive ed è su questo gioco delle tre carte che, con disinvoltura morale, i responsabili (politici) del corteo hanno puntato per illudere i tanti che, in assoluta buona fede e coscienza civica, parteciperanno. Ignorando, gli organizzatori (politici) che, non rivelandosi, stanno infliggendo, essi stessi, un ulteriore colpo deleterio al prestigio della Politica.