E’ la cifra stilistica del suo mandato, la caratteristica che emerge prepotente nel caos di un agire confuso, ricco di frammenti disordinati, povero di un’idea forte. Giuseppe Falcomatà, sindaco di Reggio Calabria, è ormai entrato a piè pari nel tunnel oscuro dell’insicurezza, illuminato solo da accecanti contraddizioni. Come se non bastasse il radicale, quanto velleitario e strumentale per fini propri,mutamento di atteggiamento nei confronti delle “indicazioni” calate dall’alto della Capitale, il Primo Cittadino ha compiuto l’ennesima “Svolta”. Oggetto dell’ultima inversione di marcia rispetto al suo stesso pensiero, più volte pubblicamente manifestato (ma, come sempre, mai concretizzato), è il delicatissimo fenomeno dell’immigrazione. A capo di un’Amministrazione che, di fronte all’eventualità che decine di migranti siano ospitati in uno stabile di via Cappuccinelli, ammette balbettante e timida la propria impotenza volgendo gli occhi verso il limitrofo Palazzo della Prefettura, Falcomatà si è arreso al vento che soffia contrario. “Reggio ormai è allo stremo. Oggi non più offrire un’accoglienza degna”, queste le parole, inequivocabili, da lui pronunciate. Le condizioni imbarazzanti in cui è sprofondata la città ordinerebbero di prendere atto che: “I reggini sono ormai allo stremo”, ma ciò che più colpisce è la distanza siderale rispetto ai proclami dei bei tempi andati della campagna elettorale. Era il settembre del 2014 e gli ultimi tepori estivi dondolavano sulle ali del romanticismo: “L’idea è che l’accoglienza possa restituire fertilità e generatività alle nostre terre, essendo queste accoglienti per i migranti. Abbiamo non solo l’occasione di proporre un metodo di accoglienza diverso, più umano, nei confronti dei migranti, ma anche – sognava all’epoca il maldestro candidato – di valorizzare quei centri che più degli altri subiscono la crisi e si spopolano e desertificano a causa delle opportunità sempre più ridotte, perdendo la propria identità e la propria storicità”. Dismessi i panni dell'”aspirante” ed indossata la fascia tricolore, c’è stato il tempo per un ulteriore, caldo, bagno di vanagloria. Complice la presenza al porto di Reggio dello scrittore Erri De Luca, storia di un paio di mesi fa, aveva insistito, con sguardo estasiato, nella ricerca dell'”isola che non c’è”. La dura legge della realtà, però, presto o tardi, chiede il conto alle sempliciotte fantasie giovanili, buone per promuovere la propria immagine, ma terribilmente inadatte per governare: ed è allora, in quel preciso istante che l’avventata leggerezza dovrebbe cedere il passo ad una matura serietà.
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