Riunioni, incontri, selezioni di candidati, compilazione di liste e guerre intestine. Il mondo della politica sembra ruotare intorno a se stesso, dando l’impressione di avere l’obiettivo precipuo della conservazione dello spazio acquisito da parte dei protagonisti. La preoccupazione di chi riveste ruoli di primo piano pare essere quella di garantirsi la rielezione lasciando a momenti successivi la risoluzione dei problemi dei cittadini. Non è un discorso che vale per i singoli: è invece un atteggiamento generalmente assunto – fatte salve le rare eccezioni – dal “politico di razza” che guarda al (suo) futuro. Prima di approfondire le cause e le conseguenze di questa strategia occorre operare una considerazione preliminare: chi riveste ruoli istituzionali spesso abbandona il proprio lavoro perdendo per strada alcune mezze certezze per effettuare quello che, sotto un certo profilo, può essere visto come un “investimento”. Se quest’ultimo va male, il domani rischia di diventare un incubo anche perché la caduta del livello di vita accentua la percezione del disagio. Da qui probabilmente nasce la corsa sfrenata all’acquisizione del consenso personale ed alla sostanziale incapacità di comprendere le esigenze dei comuni lavoratori. È chiaro che chi fa politica compie una scelta assumendosi una precisa responsabilità e pertanto deve mettere preventivamente in conto ciò che potrà accadere.
Detto questo, ciò che lascia perplessi è il graduale distacco dalla gente e l’arroccarsi su rigide posizioni che contemplano solo il miglioramento della propria carriera o, al più, di quella dei familiari e dei più stretti adepti. Si assiste quasi alla narcisistica contemplazione della propria immagine abbinata all’insofferenza verso lo stato di bisogno altrui. L’abbarbicarsi alla poltrona si lega poi all’innaturale convinzione che la popolazione non sia una comunità che condivide valori e percorsi, ma un insieme di singoli di cui vanno interpretate le egoistiche aspirazioni al fine di trasformarle nei voti necessari per riconfermarsi. C’è una sorta di sfruttamento basato sulla creazione di aspettative che, però, non hanno possibilità di trasformazione in eventi concreti. In questo groviglio di famelici intenti si inseriscono anche le assurde pretese dei peones di nuova generazione che, barattando la propria fattoria di preferenze (reale o fittizia che sia), cercano di ottenere guadagni senza sforzo. Chi si candida, spesso si trasforma: diventa più freddo e calcolatore, perde sensibilità e umanità, indossa maschere, impara a “tradire” il suo popolo. Perde di vista se stesso e la collettività che dovrebbe rappresentare, avvia un cammino che lo fa diventare “solo”, pur in mezzo alla folla. E di tutto questo se ne accorge solo quando i cittadini-elettori, stanchi e delusi, decidono di affidare ad altri le loro flebili speranze.
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