Ipocrisie e rancori: Falcomatà si traveste (senza riuscirci) da capopopolo

Le vie della politica sono infinite e sentieri percorsi con sicumera fino ad un attimo prima, all’improvviso, si rivelano tortuosi ai fini dell’inseguimento delle proprie ambizioni personali. Esemplare, per meglio comprendere le repentine svolte, per utilizzare un termine caro al protagonista, è la radicale inversione di marcia che il sindaco di Reggio Calabria, Giuseppe Falcomatà, ha impresso al proprio accidentato cammino. Dopo due anni e mezzo trascorsi nell’indefessa attività di chinare il capo davanti a qualsiasi scelta provenisse da Roma, Palazzo Chigi la sua succursale del Nazareno poco cambia, il Primo Cittadino, procurandosi un dozzinale “abito da capopopolo”, lo ha indossato con impudente nonchalance. E per esibirlo in società ha scelto due occasioni presentatesi nel giro di poche ore: il baciamano al boss di San Luca, Giuseppe Giorgi, da parte di un vicino di casa che lo attendeva davanti all’uscio nei minuti successivi alla cattura, e lo “scippo” della sede nazionale dell’Agenzia dei beni confiscati. Falcomatà non avrebbe potuto scegliere uscite più improvvide: per quel che riguarda la prima, fa specie che proprio lui, felicemente assorto e compunto durante le vane “marcette antimafia”, si sia accorto, d’un tratto, della loro inutilità. “Non possiamo pensare – ha suggerito scoprendo tardivamente l’acqua calda – che bastino le parate o le manifestazioni antimafia su territori difficili come quello di San Luca. Se vogliamo davvero scacciare il fantasma della ‘ndrangheta, che asfissia i nostri territori, dobbiamo combatterlo con una strategia seria per lo sviluppo del Meridione, che guardi soprattutto ai temi della scuola e del lavoro”. E chi ci aveva mai pensato? Queste sì che sono considerazioni tali da rivoluzionare il pensiero occidentale, il mondo, infatti, non sarà più lo stesso: nessuno, nemmeno tra i Giganti della Politica, aveva mai osato tanto. Arrivare a pensare che le ingenue iniziative pubbliche siano uno sterile strumento, da armeggiare in giacca, cravatta e fascia tricolore, per gettare insopportabili quantità  di fumo negli occhi, è una sterzata decisa che il sindaco imprime al corso degli eventi farseschi e le Istituzioni farebbero bene a mettersi sull’attenti di fronte ad un simile guizzo d’ingegno. Se solo i tasselli del puzzle mentale del Primo Cittadino si fossero incastrati qualche settimana prima, sicuramente, avrebbe dato vita ad un “caso nazionale” non presenziando, con malcelato orgoglio, alle manifestazioni che si sono svolte a San Luca o a Locri alla presenza delle più alte cariche dello Stato. In quella circostanza, così rispondeva su Facebook ad un utente perplesso circa l’utilità della “sfilata”: “Non è mai banale prendere posizione su temi così importanti. E farlo insieme a tante persone che, quotidianamente, combattono la ‘Ndrangheta è un’esperienza che fa crescere”. Era il 21 marzo e la partecipazione alla manifestazione in questione era accompagnata dalle seguenti parole: Un fiume colorato di speranza, memoria e impegno nella lotta quotidiana contro tutte le mafie”. Ogni sillaba, se messa a confronto con l’esternazione del “nuovo” Falcomatà, è un inquietante scricchiolio che si ode dalle profondità delle fondamenta di un castello di egoistiche contraddizioni. E, perseverando sulla stessa scia pseudoribelle, Falcomatà ha inteso dare il colpo del ko, quello definitivo, che stenderebbe chiunque, dentro e fuori il Partito Democratico, dentro e fuori il Governo. Al culmine di un lunghissimo periodo contrassegnato dal suo marchio di fabbrica, il silenzio, ha scoperto che sì, c’è l’intenzione di declassare la sede reggina dell’Agenzia dei beni confiscati. Evidentemente conscio di essere arrivato, da buon ultimo, all’appuntamento con la realtà e desideroso, dunque, di mettersi subito al passo dei contestatori della prima ora, non ha lesinato, parole di fuoco: “Reggio non rimarrà inerme di fronte a quello che si configura come l’ennesimo tentativo di scippo per la nostra comunità. L’Agenzia Nazionale dei Beni Confiscati non può andar via. Tenerla in città non sarà una vittoria ma un diritto, che oggi viene messo in pericolo da una visione miope…A fronte di questo è necessario uno scatto d’orgoglio da parte della comunità reggina e della sua classe dirigente…Non accettiamo che qualcuno possa pensare di spostare la sede centrale dell’ANBSC per via delle difficoltà logistiche sui trasporti da e per Reggio Calabria.
Semmai, al contrario, sarebbe opportuno che il Governo ed il Parlamento si interrogassero sui correttivi da apportare, rispetto alla tematica dei trasporti, per ripristinare collegamenti adeguati per la nostra Città. Anche di questo Reggio deve chiedere conto.
Ma per il momento vogliamo affermare con forza, che sulla vicenda dell’Agenzia non accetteremo una via diversa”. La chiusura della dichiarazione di guerra è dedicata al grido di battaglia: “Non intendiamo fare un passo indietro”. Leggendo e rileggendo queste considerazioni al vetriolo, come non far viaggiare la mente (almeno quella) ai bei tempi in cui, per rimanere in tema di trasporti, il ministro Graziano Delrio era destinatario di riverenti inchini, ringraziamento dovuto per il suo presunto intervento risolutivo sulla faccenda Aeroporto-Alitalia. I tempi cambiano, bellezze al Governo, e in riva allo Stretto nessuno è più disposto a fare sconti: l’umiliazione inflitta da Matteo Renzi che ha serrato le porte della Segreteria Nazionale del PD a Falcomatà, spalancandole all'”amica e compagna Angela Marcianò” è un’onta che sarà lavata col finto sangue delle chiacchiere in liberà. Stante la netta preponderanza delle mosse del sindaco condizionate dai rapporti interpersonali rispetto a quelli politici, preoccupa, tuttavia, che le conseguenze del rancore e della derisione nei confronti dell’assessore ai Lavori Pubblici premiata dai vertici del Partito e pubblicamente espressi con un tweet velenoso pubblicato fuori tempo massimo, si ripercuotano sulla città. Quella stessa città di cui, adesso che è stato preso in giro da Renzi, si è strumentalmente reso conto di essere il massimo rappresentante.

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