“Io sono libero”: gli enigmi irrisolti che si espandono dal libro di Scopelliti

Avendo da tempo spostato la residenza nella bolla dell’atarassia dove qualsiasi azione e reazione di inservienti in servizio permanente effettivo è destinata a rimanere incastrata nelle tenaglie dell’imperturbabilità, è utile, a tre mesi dalla pubblicazione, tirar fuori dal libro-intervista di Giuseppe Scopelliti, i diversi punti oscuri che affiorano dalle pagine del volume curato dal giornalista Franco Attanasio.

Lasciarli lì, fissi nella loro immobilità, significherebbe fare un torto ai fatti ed impedirebbe, non oggi, ma anche in futuro, di fare pace con una vicenda che scavalca abbondantemente il muro di cinta della politica per immettersi in mille altre caverne, ben nascoste lungo i pendii sconnessi con destinazione finale la punta più alta del Vero. Sin dalle prime pagine, sotto gli occhi del lettore, se non iniettati di veleno, si affacciano inquietudini attorcigliate ai fili invisibili di un “Sistema” etereo eppure molto, molto, molto materiale. Come può mai passare sotto silenzio l’indifferenza che accoglie frasi lapidarie, pronunciate dall’ex presidente della Regione, a proposito dei timori di perdere la vita per aver infilato le mani nel pentolone della Sanità, emanante allora come ora un insopportabile fetore di poteri opachi e mangiatoie abusive. Possibile che nessun magistrato coraggioso e temerario avverta la curiosità di saperne qualcosa di più? Di capire cosa ci sia dietro, e davanti, quelle frasi così gravosamente appesantite da numeri che sanciscono quanto denaro sia stato tolto dalla disponibilità dei cantori e dei profittatori dei bilanci orali? Anche vedendola da una prospettiva contraria, avrebbero l’opportunità, eventualmente, di non concedere più alibi a colui che ha vestito i panni del mattatore del centrodestra calabrese a cavallo tra secondo e terzo millennio. Drogare l’oblio non è mai una buona idea sul lungo periodo e farlo in questa circostanza, oltre tutto, sarebbe uno sfregio indelebile sul volto già deturpato della Democrazia italiana. Identici quesiti andrebbero posti in relazione ai meriti rivendicati dall’allora sindaco di Reggio Calabria nell’assegnazione dei beni confiscati ai clan della ‘ndrangheta. Anche in questo ambito, Scopelliti asserisce che chi lo aveva preceduto si era distinto per reticenza. Niente da eccepire anche sulla versione di questo frammento di storia? E’ rintracciabile qualcuno tra i soggetti preposti, in nome del popolo, a fornire risposte a proposito di quella che o ha i contorni di una insinuazione inaccettabile o quelli di una realtà preoccupante? Andando avanti nel suo racconto, l’ex capo del centrodestra e della Giunta calabrese adombra sospetti sull’iter e sulle motivazioni che portarono, come un treno deragliato, la città di Reggio verso la stazione infernale dello scioglimento del Consiglio comunale, destinazione finale di un disegno politico il cui viaggio era iniziato, allude Scopelliti, con lo scopo preciso di mettere fine a quella parabola. Ipotesi che, da sola, sarebbe sufficiente, se confortata dagli eventi, a radere al suolo ogni parvenza di legalità costituzionale: neanche una testimonianza simile è degna di essere raccolta? Neanche da una tesi simile è immaginabile togliere i granelli di polvere che vi si addensano e sono tali da inceppare il corretto funzionamento del rapporto fiduciario tra cittadini e istituzioni? Un crescendo che spinge l’ex enfant prodige della destra a sostenere con risolutezza di essere stato ucciso politicamente e, in un rapporto logico di causa-effetto immediato, che il suo destino giudiziario sia stato deciso all’esterno delle aule di Tribunale. Un pensiero che, se non ridotto a chiacchiere vaghe, ha la forza di sterminare in un sol colpo lo Stato di Diritto e i fondamenti stessi della sovranità popolare. L’eliminazione politica deliberata da parte del “sistema” non è un concetto che può coabitare con l’armonia tra poteri voluta dai Padri Costituenti, ma è figlio legittimo di una logica tenebrosa oltre la quale si spalanca l’accesso verso l’ignoto: pertanto chi di dovere ha l’obbligo d’ufficio di scacciarlo con determinazione spietata suffragata da fatti incontestabili. In caso contrario, la tesi diventa molto più di una supposizione e le conseguenze su ciò che è stato, non di Scopelliti, ma della città di Reggio e della Calabria, andrebbero interpretate aprendo un codice del tutto diverso rispetto a quelli che, unici, andrebbero aperti nelle sedi elette. Fare luce sulla sua vicenda non è affare personale che riguarda soltanto lui. Ad enigmi di questa portata è l’intera comunità a dover essere interessata: accantonando divisioni politiche e ideali, a quella comunità spetta il “privilegio” irrinunciabile di una comprensione piena e indubitabile degli avvenimenti susseguitisi.

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