
Siamo abituati a “farci le scarpe” gli uni con gli altri, rimaniamo piacevolmente meravigliati quando qualcuno pensa a “donarci le scarpe”. Da diversi giorni, a Parco Caserta, polmone verde che si espande nel cuore pulsante di Reggio Calabria, mani generose, mosse da cuori gravidi e menti conquistate dalla bontà, stanno depositando con silenziosa delicatezza calzature varie, da donna, affinché qualcuno che ne sia sprovvisto possa beneficiarne. Non un gesto scontato di solidarietà, non una usuale azione di carità, nessun “intermediario” della comunanza a far incontrare le esigenze di donatori e frequentatori della sorte avversa.
Tutto all’insegna di quella fratellanza che non conosce fede o ideologia, ma va dritta al nucleo della partecipazione attiva e fattiva delle sofferenze dell’Altro. Un Altro spesso vagante altrettanto poco rumorosamente accanto alle nostre futilità, alle nostre esigenze artificiali, lontane anni luce dalle spalle chine di sofferenze che solo anime cieche rendono invisibili. Scarpe, in altri tempi il simbolo per eccellenza della frivolezza, ma che nell’epoca della spettacolarizzazione dell'”andrà tutto bene” dietro cui si nasconde la paura fottuta di essere cambiati per sempre, presentano la foggia a colori dell’amore, lo stile luccicante della tenerezza. Lo sappiamo da sempre, l’esempio accende il fuoco con molta più rapidità delle parole, e da sempre facciamo a meno di questo insegnamento rudimentale e, al contempo, raffinatissimo. Quelle scarpe appoggiate dolcemente su un muretto a Parco Caserta rivelano sentimenti a prima vista personali, ma che indagati in controluce, identificheremmo come qualcosa sgorgante da una sensibilità collettiva messa continuamente a tacere dal freddo frastuono del disinteresse reciproco. Attenzioni simili, invece, sono il segno che altri paradigmi sono possibili, che sovvertire la gerarchia delle priorità è possibile, che la premura è un impulso possibile, che sapersi riconoscere solo in quanto appartenenti alla razza umana è possibile, che negli individui da ogni parte e di ogni parte si nasconde un compagno di viaggio e non un nemico, che la felicità può essere duratura solo se accarezzata da tutti e con tutti. Fermare le rotative che stampano cattivi pensieri in fotocopia eccita i sogni di una vita sfrondata dalla perfidia per infoltirla con rami innocenti di disponibile umanità. Infilando quelle scarpe, e camminarci dentro, passo dopo passo, fatica dopo fatica, aiuto dopo aiuto, è lì che si sale: sulla cima dell’altruismo.