In Calabria poche pance piene, molte urne vuote

Sobrietà e morigeratezza dovrebbero accompagnare in Calabria l’esultanza di chi ha vinto alla giostra, invero poco divertente, delle elezioni politiche celebratesi domenica. Certo, per qualcuno di loro, il posto al sole di Montecitorio o di Palazzo Madama rappresenta un traguardo inaccessibile ai più, per altri il mantenimento di uno status e di un ruolo del tutto immeritati.

Ma a cambiare o a rimanere felicemente inalterati, appunto, sono i destini personali dei pochi eletti, non quelli dei cittadini calabresi che, infatti, regalando un dato inequivocabilmente politico, vanno a votare soltanto per motivi ideologici o legati a spregevoli interessi individuali: sicuramente non perché ritengano che la traiettoria di questa regione possa, anche solo in maniera impercettibile, cambiare grazie ai parlamentari, grazie alla politica. Se alle urne si dirige soltanto un calabrese su due, il problema gigantesco è costituito dall’acquisizione della consapevolezza che non è più la politica a determinare il corso degli eventi quotidiani. Non un generico, quanto demagogico, disincanto, ma una ben definita presa d’atto che induce (vuoi per la qualità infima dei candidati, vuoi per il vuoto di proposte in grado di mobilitare fette ampie di elettorato, vuoi per una Calabria sempre più lontana dal resto d’Europa) sempre meno a lasciarsi sedurre da palesi cazzate e prese in giro collettive ed istituzionalizzate. Il Movimento 5 Stelle è il partito che ha conquistato il maggior numero di consensi: sì, il Reddito di cittadinanza ha fatto da motore trainante in una regione fanalino di coda secondo tutti gli indicatori socio-economici, ma le simpatie conquistate dalle truppe di Conte sono un chiarissimo atto d’accusa, con annessa condanna, nei confronti di un centrosinistra allo sbando, preso a schiaffi da chiunque passi dalle sue parti, provenga esso da destra o da sinistra. Poco conta che siano stati due magistrati provenienti da Campania e Sicilia, che nulla avevano da proporre per oggettiva ignoranza della cultura del contesto, ad aspirare a rappresentare le istanze di un popolo da essi ottusamente visto con le lenti deformate della pericolosissima cultura del sospetto. Oltre a questo, che niente conta per invertire le sorti e la sorte della Calabria, non saranno sicuramente Federico Cafiero De Raho e Roberto Scarpinato a mettere una pezza sui tanti buchi di un tessuto civile ormai ridotto a brandelli. La crisi d’identità che investe il Partito Democratico, d’altro canto, non è un incidente della Storia, ma il frutto naturale di battaglie sbagliate, e pure perse, di priorità scombinate ed obiettivi localizzati su pianeti distinti e distanti dalla Terra popolata dai calabresi. Il miscuglio velenoso è completato dalla presenza ben visibile di personaggi disonorevoli che frantumerebbero la credibilità anche di un convento di francescani e l’esito è quello venuto fuori dalle sezioni elettorali sparse sul territorio. Dalle parti del centrodestra, intanto, oggi incautamente in festa, sarebbe il caso di farsi guidare dal senno della prudenza: fa davvero sogghignare ci sia qualche eletto sempliciotto che, a risultati acquisiti, abbia salutato (a proposito di cazzate, tanto per non perdere l’abitudine e mantenersi in allenamento) il successo come un’affermazione propria. Tutto, ma proprio tutto, deve essere ascritto al vento impetuoso di Fratelli d’Italia spirato fino in fondo alla Penisola ed al mantenimento di una posizione resistente, di cui ci sarebbe poco da essere orgogliosi, di Forza Italia, corpo astratto ormai ovunque a parte il tratto che unisce il Pollino allo Stretto e solo per la spregiudicatezza di figure buone a lanciarsi nell’oceano clientelare di disperazione non più solcato dai barconi del centrosinistra. Per i militi di Giorgia Meloni la battaglia sul campo comincia solo ora: la vittoria è arrivata, infatti, mentre nessun proiettile fischiava nell’aria stagnante di una competizione in cui l’unico merito di FdI, agli occhi dell’opinione pubblica, è stato quello di non aver preso parte ad alcun Governo si sia succeduto nel corso dell’ultima legislatura, da quello giallo-verde, a quello rosso-verde, per finire a quello di unità nazionale a guida Draghi. Adesso è il turno di Fratelli d’Italia: l’ennesimo investimento che una parte degli italiani fa su qualcuno che considera di nuovo conio, dopo Matteo Renzi, il Movimento 5 Stelle e Matteo Salvini. Non il più propizio degli auspici, in particolare per la Calabria a caccia perenne di protettori dalle sembianze cangianti e così sarà finché non sarà raggiunta la piena coscienza che il valore degli eletti accrescerà solo se ad elevarsi sarà il valore degli elettori.

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