Il vecchio sistema politico al suo crepuscolo: la civiltà politica di oggi ha bisogno di inedite forme di democrazia partecipata

di Michele Furci – Senza una sana rigenerazione delle forme della politica e delle sue regole nelle istituzioni, il sistema democratico italiano è destinato per qualche anno ancora a rappresentare il peggio delle pulsioni umane pur di sopravvivere. Molti, infatti, pensando in tal modo di prolungare i tempi dei privilegi di un tempo che fu, s’illudono al contrario di continuare indisturbati a non fare i conti con la trasformazione epocale intervenuta nella struttura economica e sociale del Paese e del mondo intero.

La storia, tuttavia, nella ricchezza delle tante pagine che documentano i diversi passaggi dirompenti che stanno alla base del progresso tecno-scientifico, frutto dell’evoluzione dinamica del sapere umano, ci insegna che i sui benefici dovranno essere spalmati in modo più equo, affinché ne possano godere tutti gli esseri umani. Ciò, però, avverrà quando le masse, organizzate da un movimento inedito nei valori e nei suoi orizzonti politici, li aiuterà a prendere coscienza della necessità di ottenere nuovi diritti in grado di limitare il perenne dilemma del dominio dei pochi.

Il sistema politico superato nella struttura sociale, giunto al crepuscolo dell’intera epoca industriale, si regge ancora perché aiutato come non mai dal dominio che esercita sulle masse con i mezzi di comunicazione invasivi (Tv in particolare). Esso, per sopravvivere, si serve immoralmente dei voltagabbana e dei trasformisti, poiché in questo passaggio epocale resta ancora sostenuto da un esercito di comunicatori addestrati al suo servizio.

Il trasformismo, che tuttavia i partiti in passato superavano agevolmente per il fatto che i candidati, già protagonisti di lotte sociali di respiro territoriale, regionale e nazionale difficilmente potevano riproporsi agli elettori, è agevolato dal bombardamento mediatico che lo sostiene per convenienza strumentalmente.

Quando il vecchio sistema era radicato nella società reale, il peso dell’espulsione dei voltagabbana dalla comunità che li aveva cresciuti, al contrario, pesava morale più di una odierna condanna penale.

I candidati infatti non nascevano nei salotti delle Tv e men che meno perché erano solo bravi professionisti o sportivi di successo, bensì per il ruolo conquistato sul campo nel servizio sociale espresso lungo il cammino della militanza politica.

In concreto ognuno, in base al partito che li candidava, rappresentava un pezzo di società politica reale che lo portava ad essere fedele espressione della comunità di appartenenza il cui metro di misura restavano gli obiettivi politici posti alla base del programma ideale, per il quale gli elettori lo delegavano con il voto. Ciò era possibile perché si trattava di una stratificazione sociale sostanzialmente classista, ovvero ogni gruppo sociale era diretta emanazione della struttura economica prevalentemente agro-artigianale e industriale, frutto delle tecnologie tradizionali.

In quel contesto perciò la selezione dei candidati avveniva come naturale riconoscimento delle qualità che, nel corso dell’attività concreta con cui il partito si era misurato nel tempo nella società, ogni militante aveva dimostrato con il consenso della sua comunità.

La prova della competenza, prescindendo dal titolo di studio o della professione esercitata, era stata dimostrata sul campo in termini di abnegazione, senso di appartenenza, proposta e capacità di sacrificarsi gratuitamente per portare avanti il progetto politico secondo il programma di cui era portatore il partito.

E la concretezza dell’impegno del politico non riguardava soltanto i militanti della sinistra storica, bensì tutti coloro che militavano in un qualunque partito.

Chi non era portato alla missione politica lo riconosceva da sé e quindi non si candidava, se non talvolta come componente di bandiera per comporre le liste elettorali. Tutto ciò non esiste più e non perché qualcuno lo abbia deciso a tavolino, ma per il fatto che la quarta rivoluzione industriale con l’introduzione dell’automazione, il digitale, il web e tutte le modernissime tecnologie ha mutato profondamente la struttura economica e di conseguenza gli stili di vita e i ritmi sociali.

La società classista, che è durata sino alla metà degli anni ’80 del secolo scorso, è divenuta gradualmente una società complessa e totalmente destrutturata nei ritmi di vita e nella stessa organizzazione sociale. Le persone, prescindendo da ciò che fanno e dallo stesso tenore di vita, sono divenute molto individualiste e consumistiche, tanto che per essere identificate in comunità politiche hanno bisogno di nuove forme della politica e di inediti punti di riferimento culturali.

Una politica quindi che, dovendo necessariamente rimanere come svolgimento rappresentativa, ha bisogno di nuovi strumenti partecipativi per essere compiuta pienamente. Questi inediti strumenti, che grazie allo sviluppo tecnologico l’umanità ora possiede, devono consentire la partecipazione più diretta e come atto di assunzione delle proprie responsabilità, poiché il cittadino non deve intendere il proprio voto come un atto liberatorio per il quale esigere soltanto risposte dovute come si trattasse di ricompensa per il voto elargito. La maggiore partecipazione alla vita comunitaria dei cittadini non deve essere intesa come un vezzo per apparire più democratica, bensì per obbligare gli stessi cittadini a essere consapevoli dei problemi e perciò più responsabili nell’assegnare il voto per il bene comune.

E se il politico non deve intendere la sua missione di rappresentanza come un mestiere ben retribuito, nemmeno i cittadini di una democrazia matura in questo primo scorcio di terzo millennio devono essere tanto egoisti nel chiedere sempre e soltanto a chi li rappresenta il proprio particulare.

È finito il tempo in cui l’elettore, ormai sempre insoddisfatto e scontento di tutti e di tutto, si limita a delegare l’eletto continuando a dire “io ti voto e poi te la vedi tu!”. Il mutamento repentino di opinione e quindi del consenso a questo o quel partito, è la prova più evidente dello smarrimento e della perdita di senso di comunità e di interessi collettivi, da cui discendono quelli individuali.

Il partito o movimento, strumento per organizzare una comunità politica, deve essere necessariamente un soggetto dinamico, con una identità e un orizzonte ideale, che per corrispondere alla realtà complessa di oggi deve essere oggettivamente programmatico e perciò in continua evoluzione. Ciò significa che i cittadini affidano all’eletto per un tempo limitato un programma con punti o opzioni chiare, per le quali opzioni l’eletto rimane vincolato pena la sua naturale decadenza e, ancor prima, anche la possibilità di una verifica e una modifica da condividere in corso d’opera.

L’obiettivo di una azione politica, che abbia come modello di riferimento la rigenerazione istituzionale, deve ormai corrispondere a una società in grado di praticare l’utilizzo sostenibile delle risorse naturali, favorire la transizione green, le fonti energetiche rinnovabili, il miglioramento dell’efficienza energetica, la trasformazione digitale e con strutture produttive che facciano dell’economia una sfida quotidiana per competere nell’evoluzione del mercato globale.

Una politica siffatta non può che iniziare con l’affermare come principio basilare il necessario ricambio, ovvero che il mandato elettorale di un rappresentante del popolo, per non scadere nel trasformismo e nel professionismo di maniera, deve avere il vincolo del mandato durante il quale, utilizzando le nuove tecnologie in uso per tanti adempimenti in tempo reale, faccia altrettanto per consultare i cittadini ogni qual volta si debba decidere su problematiche complesse e argomenti sensibili.

Se non si concreterà questa nuova dimensione partecipata della politica, il sistema continuerà a ridurre gli spazi della Democrazia dei cittadini e, al contrario, il Parlamento sarà pilotato dalle multinazionali attraverso gli strumenti finanziari sovranazionali e il consenso elettorale sarà sempre più orientato dalla comunicazione invasiva che, a ben guardare, determina giornalmente il mutevole e repentino parere della maggioranza dei cittadini.

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