
di Federica Callisti* – La solitudine è un aspetto caratterizzante della nostra società, causato dalla crisi economica, dal frenetico sviluppo tecnologico, dalla perdita del valore della vita umana. La mia tesi di laurea, di Criminologia (che sarà discussa alla prossima sessione), ha per titolo: “Hikikomori: una società solitaria”, relatore Prof Saverio Fortunato, Correlatrice Prof.ssa Avv. Maria Limardo.
La mia correlatrice Prof.ssa Limardo, che è anche Sindaco di Vibo, colpita dal triste caso verificatesi pochi giorni fa in città, ha detto: «La morte dei due fratelli vibonesi è una sconfitta per tutti. Una vicenda dolorosa che merita grande considerazione e, soprattutto, una riflessione ad ampio raggio che ponga al centro la necessità di un nuovo umanesimo che riporti al centro l’uomo in un patto comunitario globale fondato sui valori del rispetto -per se stessi e per gli altri- della solidarietà e dell’etica sociale. Il rammarico che rimane, per tutti, è di registrare l’incapacità ad affrontare fragilità così estreme». Da qui il senso della tesi.
In essa affronto il problema della solitudine partendo da alcuni eventi sviluppatesi in Giappone, ma che trovano tristemente riscontro anche nel nostro Paese. In primis si analizza un particolare fenomeno giovanile di isolamento/ritiro sociale (giovani che si rinchiudono nella loro stanza e escono raramente), per poi proseguire lo studio sulle condizioni più estreme dettate dalla solitudine: la morte.
In Giappone viene utilizzato un termine per identificare le morti causate dalla solitudine, si parla di “kodokushi” che si traduce letteralmente con l’espressione “morti solitarie”. Nella maggior parte dei casi si tratta di persone anziane, senza famiglia, senza amici o conoscenti che si interessino a loro. La scoperta dei corpi avviene dopo lunghi periodi, da soggetti spesso sconosciuti alle vittime.
Nonostante queste morti solitarie interessano le grandi città o metropoli, perché nei piccoli centri ancora sono radicati valori, culture e tradizioni; tuttavia, il fenomeno è destinato ad aumentare ovunque, perché l’essere umano non è più al centro del pensiero dell’uomo, diventando così invisibile agli occhi del prossimo.
Dice il mio relatore (e io sono d’accordo) Prof Fortunato: «Lo sviluppo frenetico della Tecnica ha cambiato paradigma: al centro non è più l’uomo in quanto tale, ma la sua funzionalità in termini di efficienza, al pari delle macchine. Così, mentre la macchina viene sempre più umanizzata, l’uomo tende a disumanizzarsi. Il benessere dell’uomo non è più al centro della politica, della sanità, dei grandi temi e soprattutto della scuola. Si pensa alla persona sotto il profilo dell’efficienza e del rendimento, che sono concetti appartenenti al mondo aziendale, produttivo, non a quello umanizzante».
Io penso che i rapporti umani hanno subito la più grande perdita, poiché grazie al telefono si ha l’illusione di essere meno soli, quando la realtà è ben diversa, ci si isola sempre di più dalla famiglia e dagli amici, fino a rimanere soli con se stessi. In tutta Italia, è possibile riscontrare molteplici vicende di soggetti morti nella completa solitudine, tra questi uno di grande rilievo è il caso di una donna ritrovata morta nella sua abitazione due anni e mezzo dopo il decesso. Ognuno preoccupato dalla propria vita, di arrivare al successo prima degli altri e di fare più soldi senza domandarsi se qualcuno a lui vicino abbia bisogno di aiuto. La solitudine è una condizione che l’uomo vive da sempre, ma oggi è ancora di più diffusa tra gli individui ed è da considerarsi una problematica sociale perché quando la società non ha più a cuore il benessere dei propri componenti, fallisce.
*Laureanda all’Istituto Italiano di Criminologia