I luoghi comuni, la colonizzazione e la Calabria abbandonata: un ciclo che va spezzato

L’immagine imbarazzata del commissario alla Sanità Saverio Cotticelli è di quelle che lasciano il segno: è l’emblema di un’impreparazione già vista, che ha segnato la storia di questa terra. Spesso, “da calabresi”, siamo stati bollati come superficiali, dediti agli sprechi e all’improvvisazione, incapaci di progettare, programmare ed attuare. Un’etichetta che ci portiamo dietro da decenni che ha generato pregiudizi e condanne, che ci perseguita e che ci complica la via del riscatto. Che ha “giustificato” colonizzazioni mascherate e “lezioni” di comportamento.

Siamo stati spesso giudicati a causa una classe politica “impreparata e clientelare” che noi cittadini abbiamo “scelto” perchè veniamo ritenuti “non in grado di reagire”. Siamo stati inchiodati alle nostre responsabilità, senza considerare attenuanti storiche e sociali. Stavolta, però, quella figura non l’abbiamo scelta noi, ci è stata imposta da Roma, come un Istituto del Commissariamento, pensato per rimettere ordine e dare efficienza, che in realtà ha prodotto confusione, carenze, disagi ed ulteriore disaffezione. E adesso – allo stesso modo – chi con i propri ritardi (nel concedere pareri, nel pianificare, nell’agire) ha impedito alla Calabria di dotarsi di un Piano Covid e dei necessari posti di Terapia intensiva nel mezzo della pandemia e – di conseguenza – di ricadere nella Zona Rossa (senza contare le gravi implicazioni di carattere sanitario) dovrebbe rispondere del proprio operato moralmente, prima che amministrativamente e politicamente.

Quest’ultimo episodio lascia comunque capire che lavorare in Calabria non è facile, nemmeno per chi arriva con un curriculum ritenuto all’altezza. Perchè la complessità delle situazioni è talmente grande da condizionare un intero sistema, perchè – diciamolo – manca dedizione al lavoro, spirito di squadra e, talvolta, anche senso di appartenenza. Se a questo si aggiunge la tendenza – assai diffusa a queste latitudini – a dare facili opinioni sugli altri senza impegnarsi quotidianamente, a mettere quindi in pratica la solita doppia morale, si comprende come sia impresa ardua invertire la rotta.

Altra questione: nei giorni scorsi, sempre in Tv, il presidente facente funzioni Nino Spirlì aveva candidamente ammesso di non essere preparato in tema di Terapie intensive. Forse non era suo compito attivare i nuovi posti, ma chi è a capo (al di là delle circostanze per le quali ci si trova nel ruolo) di una Regione, non può permettersi di non sapere.

Si mettano da parte le strumentalizzazioni politiche, dunque, e si pensi davvero a lavorare. Non alla visibilità, non alle indicazioni dei propri danti causa, non all’effimero consenso del momento. Classe dirigente (locale, regionale e centrale) e comunità devono mettersi una mano sulla coscienza e intervenire sulle criticità. Ma prima riflettano obiettivamente sui propri intenti.

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