Sin dalle ore immediatamente successive alla presa di coscienza della composizione del Consiglio comunale di Reggio Calabria si percepiva, netta, la sensazione, che per annusare l’odore della Politica sarebbe stato preferibile battere altre Aule e non quella intitolata al compianto Pietro Battaglia.
Non oltre un paio di elementi, comprendendo anche le minoranze. Esagerando con l’ottimismo, le dita di una mano bastavano e avanzavano per intuire quali rappresentanti meritassero, per scienza e coscienza, di sedere su quei banchi. Sì, il consenso; sì, la democrazia: intanto, gira e rigira, vota e fai votare, le sorti della città erano state affidate dai vivi e dai morti ad uno stuolo di ignari che venivano premiati per il coraggio di affrontare un ruolo ad essi sconosciuto. Ruolo che sconosciuto, bene che lo sappiano in anticipo per non andare incontro a sorprese deprimenti, rimarrà loro ignoto anche quando termineranno l’incolore passaggio sulla giostra di Palazzo San Giorgio. Ma ai nuovi inquilini municipali non importava granché: lo status era assicurato, la catena di comando dei veri padroni del voto pienamente garantita. In fondo, era stato lo stesso sindaco, Giuseppe Falcomatà, che, dal palco di Piazza Duomo, aveva messo il sigillo alla propria campagna elettorale urlando: “Andiamo a vincere, andiamo a vincere, andiamo a vincere!”. Di amministrare, di saper cosa fare una volta rieletto, di avere i requisiti necessari per ricoprire la carica dell’incarico di Primo Cittadino, cosa volete gliene sbattesse? L’importante era vincere perché a questo, e solo a questo, è stato addestrato, dai mentori a lui assai vicini che, indicando l’orizzonte della sponda calabrese dello Stretto, quando fu il momento gli promisero: “Un giorno tutto questo sarà tuo”. Un’anticipazione concretizzatasi con ancora maggiore facilità grazie all’accondiscendenza di gran parte dei soggetti dell’opposizione deputati, purtroppo solo in teoria, a rendere più arduo il cammino sollevando dubbi sull’operato, additando al pubblico ludibrio il mare magnum di errori ed orrori. E proprio questo, in fin dei conti, è il problema principale: ad esclusione di chi è rimasto con la mente sgombra da altri interessi che non fossero quelli strettamente derivanti dal perseguimento del bene comune, il resto della truppa ingurgita qualsiasi minchiata: ultima quella dell’installazione dei binocoli panoramici proposta dal signor Mario Cardia per consentire di lustrarsi gli occhi con quanto di “stupefacente” offre Reggio Calabria. Un vano spreco di energie mentali perché per ammirare i topi che sfilano sul Corso Garibaldi, come da video diventato virale su Whatsapp nelle ultime ore, o le brutture prodotte dalla sconcezza amministrativa, non servono strumenti visivi, ma solo un briciolo di onestà intellettuale. Di conseguenza, ci si sarebbe aspettati una levata di scudi generale da parte dei “guerrieri dell’opposizione” presenti in Sesta Commissione e che, invece, tomi tomi quatti quatti, si sono accodati placidi sotto le fresche fronde del pensiero spento e hanno votato, tre di loro, un provvedimento fuori luogo, banale, inutile, dozzinale, pacchiano. Una scelta inebriante per il proponente che, magari per isolare l’unico No tondo e abbondante di sarcasmo espresso da Filomena Iatì (Per Reggio Città Metropolitana, socio fondatore di Impegno e Identità), già anticipato nel pomeriggio di ieri, martedì, ha accolto con gratitudine, come il resto della maggioranza, il voto favorevole di Giuseppe De Biasi, Massimo Ripepi e Guido Rulli, tre dei sei esponenti del centrodestra presenti nella seduta odierna della Commissione (gli altri tre hanno preso la via dell’astensione). Sarà stata sicuramente una mossa strategica per non far intendere agli avversari dove stanno alzando le barricate in via di preparazione, ma nel frattempo il sospetto che il centrodestra istituzionale, immemore degli abbagli presi negli ultimi anni, abbia il bisogno impellente di un bagno purificatore nell’affidabilità e nella responsabilità di fronte all’opinione pubblica si fa sempre più forte e difficile da reprimere.