
Tra il Movimento 5 Stelle e la Calabria la scintilla fatica a scoccare. Già nel recente passato le avvisaglie si erano palesate in svariate competizioni elettorali locali ed il fallimentare risultato prodotto dalla consultazione di domenica non rappresenta altro che una conferma delle difficoltà fin qui incontrate dai pentastellati che gravitano nell’area compresa tra il Pollino e lo Stretto. E’ vero che alle Politiche del 2013 il successo fu eclatante, al pari di quanto accaduto nel resto d’Italia ed altrettanto aderente alla realtà è la considerazione secondo cui i problemi di radicamento territoriale dei “grillini” sono comuni a gran parte della Penisola. Tuttavia, i flop in cui, invariabilmente, incappa il MoVimento in terra calabra necessitano di ulteriori approfondimenti. Al di là del misero numero di preferenze che ha la capacità di attrarre, la vera questione è legata alla percezione di irrilevanza che trasmette ad un’opinione pubblica orfana di punti di riferimento e saldamente avvinghiata all’arbusto del disincanto. I big dei cosiddetti partiti tradizionali, infatti, salvo rari casi, non riescono più ad essere influenti come un tempo. La loro forza di condizionamento si assottiglia progressivamente, depotenziata dalla marea montante dell’antipolitica. Una rabbia che, però, a queste latitudini non trova il pertugio giusto per canalizzarsi secondo i dettami imposti da Beppe Grillo. Molte sono le giustificazioni, alcune anche plausibili: nessuna di esse, però, è ormai sufficiente a reggere come alibi. Una colpa svetta su tutte: da Roma in giù M5S non sconta la concorrenza della Lega che, sia pur parzialmente, nelle regioni del Nord pesca nel medesimo, vasto, oceano della rabbia antisistema. Quello che è mancato, e manca tuttora, è la consapevolezza di un ulteriore step di crescita: la costruzione di una classe dirigente dotata delle caratteristiche necessarie per essere davvero in sintonia con le istanze emergenti dalla quotidianità di paesi e città. L’urgenza è una ed una sola: affondare le radici nelle profonde voragini dell’insoddisfazione popolare che sgorga dall’inabilità manifestata dai partiti nell’individuare ed attuare soluzioni adeguate ai problemi di ogni giorni. Prendete, in Calabria, il caso di Reggio: a fronte di un assedio senza sosta da parte dell'”esercito del nulla” guidato dal sindaco Giuseppe Falcomatà, i pentastellati risultano non pervenuti. Al netto della pessima caduta di stile di una foto ritoccata, in cui il Primo Cittadino appare con l’occhio pesto ed apparsa sui profili social della deputata Dalila Nesci, la rappresentanza parlamentare calabrese è distratta rispetto a tutto ciò che costituisce un incubo per i cittadini. Non una sillaba è stata spesa per la scandalosa assenza di acqua, non un sussulto sulla sporcizia che regna sovrana, nulla sull’infinita serie di errori commessi da parte di un’Amministrazione inesauribile fonte di collera per le vittime di tale inettitudine, nemmeno mezza parola, più in generale, su un’acclarata incompetenza gestionale i cui frutti velenosi cadono copiosamente sulle teste dei reggini in ogni ambito della vita pubblica. E l’elettorato ne è consapevole se è vero, come è vero, che, a parte qualche sporadica presenza all’interno dei Consigli comunali di località di piccole dimensioni, il Movimento 5 Stelle non riesce a farsi strada nelle massime Assemblee elettive calabresi. L’ultimo, netto, insuccesso, incassato a Catanzaro appone il sigillo al già voluminoso dossier dei fallimenti. Risultati inequivocabili per i quali deputati e senatori eletti nelle circoscrizioni della punta dello Stivale hanno l’obbligo, morale e politico, di assumersi delle responsabilità non eludibili. Essere i terminali della protesta, come succede in occasione delle elezioni Politiche, è fin troppo semplice; acquisire la credibilità necessaria per diventare un’alternativa concreta ai responsabili dello sfascio della società calabrese è cosa ben diversa. Si sporchino le mani, si gettino davvero nel fango della contesa corpo a corpo, possibilmente armati di idee e visioni, entrino autenticamente in sintonia con l’insoddisfazione del popolo e se ne facciano sinceri portatori. Perché sia possibile è fondamentale creare un sistema organizzativo tale da realizzare una perfetta assonanza con i bisogni concreti della comunità e, contestualmente, non pensino di detenere il monopolio della rappresentanza di coloro che si oppongono al Sistema. A questo proposito, l’esempio di Parma è paradigmatico: Federico Pizzarotti, nel 2012 eletto a sorpresa sindaco della città emiliana, pur essendo fuoriuscito dal MoVimento lo scorso anno, al culmine di una stucchevole battaglia con i vertici, si è riproposto all’elettorato che lo ha spedito, con una messe di voti, al secondo turno in programma il 25 giugno. Sostenuto da una lista indipendente, ha schiacciato quella allestita dai pentastellati: la conferma che, alla prova del governo dei fenomeni complessi, o il dissenso assume le forme della serietà e della responsabilità o gli elettori spostano, con rapidità, il consenso verso altri lidi, popolati da personaggi che offrono un maggiore senso di sicurezza.
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