Garanzia della libertà dei giornalisti e diritto a un’equa informazione degli utenti: le esigenze della civiltà della comunicazione

di Michele Furci – Soltanto uno Statuto, che renda democratico il servizio della comunicazione televisiva, può impedire l’instaurarsi di inedite forme feudali nell’economia della moderna società dei consumi. I canali privati e pubblici, stante l’attuale monopolio delle reti, condizionano ormai la volontà popolare utilizzando il potere invasivo dell’informazione, cui contribuisce peraltro la collettività con gli sponsor sui beni di largo consumo e con i finanziamenti pubblici. 

Lo Statuto deve regolamentare l’introduzione di forme gestionali elettive dirette e partecipate dall’opinione pubblica, poiché qualunque intermediazione politica è destinata a limitare la libera circolazione delle opinioni. La libertà di stampa e la comunicazione pluralista può esistere se anche tutti i soggetti politici e culturali avranno la facoltà di possedere almeno una rete tv come proprio organo di stampa. Da più di trent’anni infatti la comunicazione e l’orientamento politico di massa passa soltanto attraverso le reti Tv. E poiché i canali tele-mediatici privati appartengono tutti alle forze economiche finanziarizzate, la cultura della responsabilità civica e dei vincoli di interesse sociale collettivo non hanno più voce. Senza il pluralismo non si ha la possibilità di portare aventi idee e programmi alternativi, che sono il sale della democrazia. I diritti di cittadinanza, che appartengono alla cultura della democrazia liberale, con il dominio dei soli editori commerciali, rimangono esclusi come principi universali e come interesse collettivo. In Italia, come del resto un po’ in tutto il mondo democratico evoluto, fino a qualche anno fa un certo contrappeso culturale a queste tendenze, il fronte contrapposto riusciva ad averlo con la Tv pubblica. Infatti, con l’avvento della Tv nel secolo scorso, il sistema politico associativo e culturale aveva trovato al suo interno l’equilibrio della gestione plurale dei canali Rai, affidando le Direzioni alle correnti di pensiero rappresentative dell’Italia politica del tempo. Dal 1992 in poi, poiché in Occidente ha preso il sopravvento la cultura Tecnocrate Iperliberista come sistema sociale di riferimento, le Tv commerciali e quelle pubbliche hanno iniziato ad ispirare soltanto le forme ibride della Democrazia economica e politica, che gradualmente è divenuta in realtà Oligarchia. Lo hanno fatto in un crescendo che, nella realtà fattuale, il regime politico e in particolare quello regionale e amministrativo si concentra nelle mani di minoranze poiché, senza il mandato di una maggioranza assoluta di votanti, il consenso di cui godono è sempre meno rappresentativo della volontà popolare. Invece di allargare la partecipazione popolare inevitabilmente la si restringe, tanto che nel giro di pochi anni si registrano percentuali elettorali che somigliano alla realtà precedente la conquista del suffragio universale maschile del 1912 e generale del 1946. I principi tecnocratici, annullando il concetto di base sociale come valore politico di rappresentanza degli interessi collettivi, hanno superato in tal modo il permanente conflitto che rimane tra la grande massa dei subordinati o dei redditi fissi dei pensionati e il Capitale inteso in versione moderna come il mondo dell’economia imprenditoriale. Le comunità politiche, competendo in tal senso, sono finte a non avere più orizzonti e modelli di società alternativi tra di loro. La politica economica e finanziaria dei due aggregati tradizionali è sempre più sfumata al punto che, al di là della mera propaganda verbale, è uniformata sull’orizzonte unico del modello liberal consumistico. La differenziazione degli schieramenti politici tradizionali, Destra e Sinistra, è veicolata e amplificata soltanto su una inedita disputa riguardante i Diritti Civili che, per le implicanze concrete di cui sono oggetto, sarebbe opportuno che si definissero come conflitti che riguardano la coscienza individuale di fronte a inediti Diritti Etici. Essi in realtà sono contemplati nel Titolo II della Costituzione del 1948, che in maniera trasversale i Padri costituenti avevano regolato con la stesura degli art. 29 e 30 cost, definendoli appunto “Rapporti Etico-Sociali”. La politica come strumento regolatore del conflitto tra dominanti e dominati, che si confronta e media socialmente la redistribuzione della ricchezza, nel ‘900 aveva trovato nelle regole della Democrazia Politica compiuta il suo equilibrio concreto. Il rapporto duale paritario tra forme evolute del Capitale e nuovi modelli o forme del Lavoro, dopo 30 anni di bombardamenti mediatici, ora è del tutto sbilanciato al punto che il governo dei processi sociali stenta ad avere nel Parlamento il punto più alto di mediazione, poiché maggioranze numeriche non corrispondono alla volontà maggioritaria del paese. L’idea di società consumistica come unico orizzonte, propinata dalla comunicazione invasiva, ha fatto scomparire dal grande dibattito pubblico la vera questione sociale, che nel principio della responsabilità sociale trovava il suo punto di equilibrio. Illudersi che il sistema democratico e le forme sociali alternative possano esistere come esercizio della libera volontà popolare, stante il monopolio televisivo, è del tutto impossibile. Senza mezzi adeguati, in grado di garantire la circolazione plurale delle idee, non può concretarsi alcuna Democrazia Politica e men che meno quella responsabile e partecipata secondo gli stili di vita raggiunti nel terzo millennio. Se tante sensibilità politiche rimangono senza una rete televisiva nazionale propria, la democrazia come sistema non potrà durare a lungo. In tali condizioni l’esercito dei delusi crescerà in tutte le comunità politiche autenticamente liberali e nella stessa destra sociale ed ideale. E non si tratta nemmeno di riproporre espressioni di astratti valori di un tempo che non esiste più, bensì di rappresentare un inedito orizzonte politico-sociale in grado di soddisfare i nuovi bisogni diffusi e realmente di interesse generale. Il mondo degli esclusi, che si genera tra le inedite identità dei subordinati e del nuovo mondo anche imprenditoriale, se non si governano i processi sociali con la partecipazione attiva dei cittadini è destinato a crescere. Non rigenerando le forme della democrazia, il distacco dei cittadini nei confronti del mondo della politica è destinato a crescere e con la sua dilatazione si restringerà di pari passo la fonte che alimenta il principio della democrazia compiuta. 

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