Figli di papà e figli di un dio minore: è ora di combattere mediocrità e sudditanza

Possiamo sforzarci di analizzare tutti i parametri economici possibili, ma la risposta non la troveremo nei meandri di canali di dati che additano la perdurante condizione di sottosviluppo. Il problema della Calabria è da ricercarsi altrove, in un atteggiamento mentale di arrendevolezza e anonimato culturale che supera lo scorrere del tempo e si tramanda di generazione in generazione. La difficoltà per chi rimane in questa terra è quella di combattere con un nemico invisibile: la negatività sociale che adesso si annida nel sospetto dei pensieri e si trasmette, con un’ulteriore degenerazione, via social.
Al di là di intenzioni proclamate ma non concretizzate, si aspetta che a risolvere le questioni centrali sia il potentato di turno, verso cui pur si nutre una discreta diffidenza, preferendo limitarsi alla critica dello stesso nel momento della delusione delle aspettative. Il punto è che non si crede in se stessi, forse perché gli esempi in questo amaro angolo di mondo parlano di “avanzamenti” solo per i figli di chi riveste una certa posizione, gente che il destino non se l’è dovuto costruire ma se l’è trovato scritto sul cognome. Figli di papà che “contano”, che “hanno i numeri”, che “possono incidere”. Gente che non ha dovuto prematuramente caricarsi una famiglia sulle spalle, gente che non ha avuto il problema di razionare i beni di stretta necessità, gente diversa da chi non ha dovuto che affidarsi al proprio lavoro e alla propria determinazione. In parte assimilabili a questa categoria sono quei soggetti benedetti dalla “benevolenza” dei moderni padroni, scelti sulla base della (presunta) fedeltà e della (certa) sudditanza e che hanno saputo adeguarsi “al progetto”. Per gli altri, la vita è diversa e terribilmente più dura: o ci si rassegna a galleggiare sulle onde della precarietà o ci si prepara a recidere i legami con la terra d’origine. Rarissimi sono coloro che decidono di non rinunciare né agli affetti né alla propria crescita sociale, culturale, economica e dunque umana. Anche perché il rischio è enorme: una mossa sbagliata e si rimane “bruciati”, senza possibilità di rimedio. Ma è qui che i giovani calabresi devono vincere la loro scommessa: occorre avere il coraggio di osare, di sovvertire le posizioni dominanti, di attuare una vera rivoluzione pacifica impostata sulle competenze e sulla responsabilità. Una missione (quasi) impossibile perché richiede la fiducia del resto della comunità: se un singolo azzarda la scossa culturale e la popolazione rimane inchiodata alle vecchie e logore logiche il prezzo più alto lo pagherà il temerario.
Ogni giovane deve però porsi qualche domanda: vale la pena condurre un’intera esistenza sotto l’ombra del conformismo e della paura? O è meglio vivere da protagonista ed essere soddisfatto fra qualche decennio delle proprie azioni? In fin dei conti, alla fine per tutti arriverà il momento di rispondere, oltre che a Dio (quello vero), alla propria coscienza.

Contenuti correlati

Commenta per primo

Lascia un commento