
La sensazione, a pelle, è che a questo giro, le elezioni per il rinnovo del Consiglio comunale di Reggio Calabria non saranno decise dal numero di liste e di candidati. Certo, 32 diverse proposte, moltissime delle quali sono solo aggregazioni costruite in fretta e furia per l’occasione e 914 aspiranti alla carica di consigliere comunale potrebbero indurre a pensare il contrario, ma la realtà va ben al di là delle cifre.
Alcuni discettano giustamente sulla qualità media dei concorrenti, ma altrettanto corrispondente alla verità dei fatti è che non risulta, almeno dal 1997 (anno nel quale per la prima volta si votò col sistema attuale), un’invasione di statisti, con studi e competenze adeguati a guidare la città. La quantità, anche in questo caso, è nemica della qualità, ma spazi per offrire il proprio contributo, mai come in questa circostanza, erano ben dispiegati sotto gli occhi di ciascuno, soprattutto di coloro che, anche questa volta hanno (abbiamo) preferito continuare ad assistere dalle tribune. Le conseguenze rischiano di essere anche peggiori se la prospettiva visiva è quella di chi, invece di osservare dalle comode poltroncine, lo fa in piedi urlando dalle rispettive curve di appartenenza. Danni collaterali della democrazia amplificati dalla pervasività dei social che, in assenza di comizi affollati, a causa della pandemia ma anche della trita e ritrita disaffezione nei confronti della politica, rischiano di essere lo strumento che può fare la differenza. Ciò significa non solo che chi ne sa meglio padroneggiare gli schemi avrà una marcia in più, ma che la rabbia sociale, potente fattore motivazionale nell’espressione dei comportamenti all’interno della cabina elettorale, potrebbe essere soddisfatta nel vasto, ancorché vacuo, pianeta virtuale senza una consequenziale massiccia affluenza alle urne. E’ probabile, anzi, che il trend delle ultime due tornate, quelle in cui vinsero Demi Arena e Giuseppe Falcomatà si consolidi ulteriormente facendo scendere, e di diversi punti percentuali, l’affluenza. Dall’ottobre del 2014, d’altra parte, sono trascorsi sei anni nel corso dei quali la marea montante del “sono tutti uguali” di populista derivazione si è ingrossata. A questo si aggiunga che le misure anti Covid rallenteranno, inevitabilmente, le operazioni provocando attese e file aiutando tanti a giustificare la propria assenza ai seggi. Mescolate il tutto con le considerazioni di una discreta fetta di ceto medio riflessivo che, anche pubblicamente, ha manifestato l’intenzione di tirarsi fuori dalla partita e diventa facile prevedere quel che succederà. Per essere ancora più chiari, è facile immaginare che solo gli elettori più motivati saranno spinti ad esercitare il loro diritto nelle ultime ore dell’estate 2020. Ancora meno saranno, ovviamente, in caso (pressoché una certezza) di ballottaggio due settimane più tardi, quando il traino delle liste perderà la propria valenza. Il nodo centrale della questione, però, sta tutto qui: al netto dei big partecipanti alla tenzone, che peraltro disporranno ciascuno di un pacchetto di voti assottigliato rispetto al passato, quanto peseranno i riempilista buttati dentro solo negli ultimi giorni e, addirittura, nelle ultime ore? Lasciando perdere i comunicati trionfalistici di taluno, tutti hanno avuto serissime difficoltà a completarle o, perfino, a raggiungere il numero minimo per essere ammessi alle elezioni. Questa parte del ragionamento è sovrapponibile alla considerazione comune che a decidere le sorti di una comunità non è il singolo consigliere comunale, utile solo quale terminale di segnalazioni di piccolo cabotaggio, ma la persona del sindaco. La scelta istintiva, in virtù di questa presa d’atto, potrebbe, e dovrebbe, essere quella di premiare chi tra gli sfidanti sarà individuato come il più idoneo ad assumersi l’arduo compito di indirizzare le scelte quotidiane e strategiche di un’Amministrazione importante come quella di una Città Metropolitana. Mai come in questa circostanza il voto disgiunto è facile che costituisca i grimaldello per scardinare sicurezze blindate solo all’apparenza. Da quello che si è visto all’alba di una campagna elettorale, brevissima e durissima, sembra, infatti, che il sindaco uscente, Giuseppe Falcomatà ed Angela Marcianò, al comando di un polo civico, siano i due protagonisti che hanno capito come arrivare ad occupare una posizione favorevole nella corsa al cuore del sentiment popolare. Sia l’uno (con un video diventato virale) che l’altra (nella conferenza di presentazione delle liste a supporto della sua candidatura) hanno saputo utilizzare registro linguistico e toni da battaglia, quelli che, sul piano della comunicazione, servono per colpire con efficacia ed incassare con sicurezza i colpi, anche sotto la cintura, che inevitabilmente saranno il pane quotidiano delle quattro settimane che ci separano dal voto.