E questi che c’entrano con la Borsa Internazionale del Turismo?

In un intervallo storico così drammatico una domanda, leggera quanto improvvisa, sta risuonando da un paio di giorni nella testa di tanti: cosa ci fa alla Borsa Internazionale del Turismo di Milano la delegazione di Reggio Calabria, intesa come città e provincia, intesa come Amministrazione Comunale e Città Metropolitana? Un quesito che, paradossalmente, nel pieno di una guerra e di una nuova normalità bruciata da tamponi e quarantene, restituisce un minimo di ordinarietà alle nostre vite. Perché osservare una foto che ritrae, sotto la gigantografia di uno dei due Bronzi di Riace, Filippo Quartuccio e Carmelo Versace, Paolo Brunetti ed Irene Calabrò, oltre a strappare una fragorosa risata impossibile da trattenere, riconsegna alla vista quei punti di riferimento cardinali senza i quali sarebbe difficile raccapezzarsi in un pianeta tumultuoso e frustrato. Invece, guardare con occhi teneri quello sgangheratissimo gruppetto di imbucati ad un evento con il quale c’entrano quanto Vladimir Putin alla cerimonia di consegna del Premio Nobel per la Pace, offre un quadro dai colori consueti, riconoscibili e riconosciuti.

Personaggi improbabili che, approfittando dei poveri portafogli dei contribuenti, si sono ritrovati con qualche biglietto in tasca da sfruttare prima che svanisca il sogno inimmaginabile di essere, solo sulla carta (straccia), amministratori pubblici. Le facce, le espressioni non mentono: non ci sarebbe, pertanto, bisogno di alcun commento. Sono loro stessi i primi a non capacitarsi del motivo per cui si ritrovano lì, senza arte né parte, senza competenze da offrire, in assenza di qualsiasi abilità specifica, completamente disfunzionali rispetto agli obiettivi della BIT, fuori posto, fuori luogo, fuori tempo. Una presenza che, come non mai, pone in risalto le assenze, le mancanze di un territorio divorato dall’abbrutimento conculcato dalla sua peggio gioventù. Ci dicano, piuttosto: a che titolo si trovavano ad una fiera internazionale nata per promuovere l’offerta turistica i responsabili dell’affossamento delle misere spoglie di una promessa di sviluppo di un’area depressa definitivamente depressa e soppressa? Pare vogliano saltare sul carro del cinquantesimo anniversario del ritrovamento dei Bronzi di Riace. Fingiamo per un attimo, ma solo per un attimo, per comodità di conversazione, che i QuartuccioVersaceBrunettiCalabrò abbiano messo piede una volta nelle sale del Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria (escludendo le visite risalenti ai tempi della scuola). Pur prendendo per buona questa ipotesi discretamente inverosimile, cosa avranno mai da dire i rappresentanti di classe in gita premio agli osservatori provenienti da tutto il mondo? Quel mondo di cui nulla sanno, e che pure, sprezzanti del pericolo di essere sbeffeggiati dalla loro stessa storia personale, affrontano come se nulla fosse. Peccato che lo affrontino facendosi scudo di quelle medesime bugie all’origine delle frottole raccontate al popolo reggino che ormai non è nemmeno più rassegnato: molto più semplicemente se ne fotte e non sa nemmeno di chi stiamo parlando. D’altra parte, come biasimarlo? E’ oggettivamente mortificante occuparsi di un Versace o di un Brunetti un tempo ras delle condotte idriche e fognarie, o di un Quartuccio ridens. Ai “tanti visitatori dello stand della Città Metropolitana” (come la dozzinale prassi dei comunicati istituzionale impone) i quattro campioni della Amministrazione Pubblica si saranno ben guardati dallo svelare il segreto inconfessabile all’esterno dei confini reggini che da queste parti l’acqua non scende dai rubinetti, la spazzatura è ben più visibile di quegli sparuti drappelli di turisti sbarcati per un tragico errore impossibile da ripetere, che il Lungomare (di cui tutti i provincialotti si vantano senza aver mai varcato le Colonne d’Ercole di Catona e Pellaro) è un porcile indegno di una bidonville, che l’ordine pubblico è ostaggio dell’inciviltà di chiunque abbia nel proprio DNA la capacità naturale di aggiungere il proprio mattoncino di bestialità. E quanto questa porzione di Occidente sia irrecuperabile è testimoniato proprio da tutto ciò che, con uno schiocco delle dita, sarebbe stato creato in qualsiasi altra parte dell’Orbe terraqueo disponendo delle due mitiche statue, qualsiasi altra parte lontana dalla parte calabrese dello Stretto. Nulla di tutto ciò è stato anche solo immaginato, basti pensare, senza andare lontano (anche perché mancando collegamenti degni di tal nome sarebbe alquanto complicato) che a condurre le danze sono i villeggianti per caso fattisi immortalare, increduli e impacciati, davanti ad un’immagine da cui non potrebbero essere più distanti.



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