È uno dei tanti misteri che aleggiano all’ombra della Certosa e che invitano a riflettere sul senso della vita. La scomparsa di Ettore Majorana, a quasi 80 anni dall’ipotetico decesso, rappresenta un interrogativo di portata planetaria che nasconde una verità su cui illustri studiosi hanno cercato di fare luce. La sua storia torna d’attualità ogni volta che la “soluzione” rispetto a determinate situazioni prende le forme del ritiro, dell’isolamento, della riflessione solitaria. Particolare interesse, in tal senso, desta un articolo dal titolo “Così ‘incontrai’ Majorana – Parlando con Sciascia del fisico e altre cose” pubblicato su “La Stampa” domenica 5 ottobre 1975. Sciascia confermava in quell’occasione, sebbene non ci fosse “nessuna prova se non il ricordo del giornalista Vittorio Nisticò”, la presenza di Majorana a Serra San Bruno. Anzi precisava: “Sono convinto che sia andata proprio come ho scritto, che Majorana si sia ritirato in un convento”. Questa fermezza nell’esporre il proprio pensiero nasceva dall’incontro con un “fratello” che si trovava entro la cinta turrita e che avrebbe ribadito che nel monastero ci fosse “un grande scienziato”. Inoltre, questa versione – che poggiava sulla volontà di allontanarsi dal mondo dopo la scoperta del potere degli atomi – godeva della fiducia della madre del fisico. E “anche se la storia non fosse vera e la Certosa di Serra San Bruno non c’entrasse – spiegava Sciascia – l’identificazione da me proposta avrebbe una sua verità”.
Simile a questa teoria è quella formulata da Lomorandagio (Girolamo Onda) nel libro “L’angelo che custodiva gli atomi”, una fatica letteraria minuziosa, profonda, stimolante, che mescola realtà e immaginazione dopo aver inserito l’erudizione prodotta dalle indagini e nella quale l’autore mira a “portare alla luce momenti di verità che rischiano di essere ignorati e accantonati” dosando concetti scientifici e riflessioni spirituali che paiono essere il frutto dell’esperienza. Operando un parallelismo con la scelta di San Bruno di ritirarsi in solitudine nella natura dei boschi delle Serre per consacrarsi “ad una vita di preghiere e di intimità con Dio”, Lomorandagio cerca di comprendere la motivazione della scomparsa nel nulla dello stimato professore di Fisica teorica dell’università di Napoli. La sua tesi è chiara: se l’eremita di Colonia – che era consigliere di Papa Urbano II, cioè di colui che volle la prima crociata contro gli infedeli – si allontanò dal potere “alla vigilia di una catastrofe storica che doveva mietere migliaia di vite umane e non voleva essere complice di tale disastro”, Majorana si comportò analogamente poiché “la sua partecipazione alla realizzazione della bomba atomica avrebbe deviato il corso della storia verso inimmaginabili teatri di morte”.
Questo tipo di “soluzione” – che stimolò l’attenzione di diversi scrittori e giornalisti, fra cui Sharo Gambino – è stato accostata ad altre rilevanti vicende come quella riguardante il colonnello Paul W. Tibbets, ovvero colui che il 6 agosto 1945 guidò la missione dell’Enola Gay su Hiroshima, o più recentemente Padre Milingo. Ma la certezza della verità, in tutte queste situazioni, rimane custodita nel silenzio.
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