Comunali. La mannaia di Falcomatà taglia la testa ai miraggi del centrosinistra

Apprezzabile il tentativo di Demetrio Delfino di rimettere assieme i cocci di un'area culturale bombardata dal malgoverno

Falso allarme: ci si era illusi, forse immotivatamente, che, in un sussulto di orgogliosa coscienza critica, il centrosinistra potesse compiere un gesto responsabile nei confronti del popolo reggino e dei corretti equilibri della democrazia, ma la speranza è stata, con modalità repentine e come al solito dilettantesche, seppellita in men che non si dica. Si va avanti con il sindaco uscente come ribadito dal Segretario nazionale del PD Nicola Zingaretti, chiudendo i giochi prima che essi potessero avere inizio.

Rimane’ apprezzabile il tentativo, quasi disperato di Demetrio Delfino di rimettere assieme, in zona Cesarini, i cocci di un’area culturale bombardata dal malgoverno di Giuseppe Falcomatà, ma a mancare sono le condizioni minime perché gli interlocutori possano raccogliere l’appello. Il presidente del Consiglio Comunale, certamente, era l’unico, per la credibilità trasversale accumulata lungo il suo percorso politico, a poter assumere il ruolo di ricucitore, però troppo sdrucito è ormai il tessuto sentimentale di un popolo che, prima ancora di quello di centrodestra, si è sentito deluso, tradito e abbandonato da un reuccio senza corona e senza qualità, accerchiato da vassalli imbelli immeritevoli di stima politica. Il richiamo all’unità avrebbe potuto funzionare solo se ci fosse stata la volontà, da parte di tutte le componenti, di azzerare gli oltre cinque anni sporcati dal Primo Cittadino e dai suoi attendenti per sedersi attorno ad un tavolo e verificare quale strada intraprendere per abbandonare quella dissestata (nel vero senso della parola) battuta con pervicacia e senza ostacoli. Perché l’origine di tutti i problemi risiede proprio nell’eccessiva accondiscendenza (di facciata) nei confronti del sindaco. Un appiattimento che ha mandato al macero valori e battaglie per affrontare, invece, una navigazione a vista di piccolissimo cabotaggio tale da annacquare ogni ambizione. Non poteva bastare, quindi, un generico invito all’agognata armonia pur di fermare l’avanzata inarrestabile delle truppe di centrodestra che assediano Palazzo San Giorgio dal quale le separano solo i resti di una manciata di mesi. Non poteva bastare perché in riva allo Stretto l’operazione portata a compimento in Emilia Romagna era irrealizzabile, a prescindere: un fronte comune contro il nemico e al diavolo le differenze. Due le differenze abissali: a Reggio non c’è nessun Matteo Salvini da frenare in una scriteriata battaglia personale contro la sinistra da decenni al (buon) governo di quella regione e non esiste un leader, come Stefano Bonaccini, che ha amministrato con merito nel corso del suo mandato. Da quest parti, al contrario, non solo non si è avuta l’intelligenza politica di comprendere che con Falcomatà la nave è già da un pezzo colata a picco con tutti i mozzi reduci, ma si è rinunciato ad aprire, per tempo e con serietà, un severo confronto su quanto accaduto durante la consiliatura. L’autoreferenzialità di sempre come mannaia su un periodo dal quale la città vorrà allontanarsi a gambe levate perché terrorizzata da coloro che percepisce come suoi aguzzini. Peccato, perché se il centrosinistra avesse dimostrato risolutezza ed umiltà mettendo da parte, con lucidità, chi ha portato la barchetta a sbattere contro il ghiacciaio della presunzione, non ci sarebbe stata la necessità, in quella stessa area, di individuare soluzioni alternative già in campo e decise a non regalare nulla a chi avvertono come qualcosa di lontano, lontanissimo. Un contesto che le ha spinte a farsi portatrici, anche da sinistra, delle speranze collettive abbattute dalla stoltezza del falcomatismo nei cui riguardi il disappunto fungerà da potentissimo motore motivazionale nella imminente competizione per il rinnovo del Consiglio comunale.

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