
Perfino il Partito Democratico sembra se ne sia accorto: lo ha fatto con mesi di ritardo, ma questi sono i tempi di reazione di una forza politica che, a Reggio Calabria come a Roma, si è infilato in un tunnel che non prevede vie d’uscita, ma solo un dimesso e dignitoso ritorno alla stazione di partenza dove far scendere, anche con metodi spicci, i passeggeri e permettere la salita a portatori di idee e non di interessi personali. La decisione d’imperio assunta da Giuseppe Falcomatà un paio d’ore prima che il Tribunale lo condannasse accompagnandolo alla porta costruita dalla Legge Severino, dietro la quale sarà costretto ancora per diverso tempo, aveva, fin dal principio, i connotati di una delle tipiche sfide puerili dal “sospeso” lanciate al mondo intero. Peccato che quello stesso mondo intero, dentro e fuori dal Palazzo, non lo stimi più né lo rispetti, da qualsiasi prospettiva, umana e politica.
Tuttavia questi sono aspetti che non rilevano: ciò che, invece, rileva è l’aggravamento repentino del quadro clinico di una maggioranza che si tiene assieme soltanto per tutelare sé stessa, senza che nulla di politicamente dirimente la unisca. Macchiette caricaturali che insultano la Cosa pubblica con la loro semplice presenza, anche muta, anche immobile, come possono dolorosamente constatare i cittadini succubi e sudditi. Un peggioramento delle condizioni figlio di quella scelta perversa operata dal “sospeso” e che le dinamiche interne ai rapporti tra partiti e movimenti ha fatto sì tutto nel frattempo cambiasse. Sta di fatto che Paolo Brunetti, individuato quale vicesindaco comunale, e Carmelo Versace, individuato quale vicesindaco della Città Metropolitana, ed attualmente facenti funzioni nei rispettivi enti, sono, secondo tutti i crismi della democrazia, occupanti abusivi e immeritevoli di incarichi non spettanti loro. Se sul piano formale niente è mutato, sul piano sostanziale stiamo parlando di due subalterni che, non facendo più parte del centrosinistra, dovrebbero avere la decenza (concetto e parola ad entrambi ignoti) di liberare ieri, non domani, le poltrone su cui sono appollaiati calpestando l’etica, la correttezza e sputando in faccia all’orgoglio ed alla nobiltà di una città che, quantunque abbia evidenti peccati da scontare, non avrebbe comunque meritato di essere umiliata da una dannosa amministrazione. L’uno, Paolo Brunetti, peso mosca di Italia Viva, l’altro, Carmelo Versace, peso mosca di Azione, appartengono ad organizzazioni politiche che hanno scelto di fare un percorso alternativo rispetto a quello, assai accidentato, del centrosinistra a trazione PD. Il nodo politico, assolutamente inestricabile, risiede proprio in questo aspetto: i reggini chiamati alle urne nel 2020 per rinnovare il Consiglio comunale e scegliere il sindaco hanno votato, piaccia o non piaccia, per una coalizione che prevedeva al suo interno candidati e liste successivamente usciti dai suoi confini ed ora, addirittura, a capo di Comune di Città Metropolitana: a tutti gli effetti un golpe in salsa reggina. Quella stessa compagine, pertanto, come può tollerare di essere guidata, causa un capriccio dell’uomo rimasto solo al comando di se stesso, da profili che sono soldati armati da eserciti nemici? Fino a che punto un centrosinistra, pur in rotta e smarrito, riesce ad infangare consapevolmente il proprio decoro? Il limite che i suoi capibastone si sono eventualmente posti indicherà il confine, anche temporale, di questa Amministrazione detestata dalla città, disprezzata dalla ragione.