
Cosa vuole il sedicente centrodestra istituzionale a Reggio Calabria? Boh. Non sarà certamente la sterile presa per i fondelli esternata stamane, a ridosso della seduta del Consiglio comunale, a lasciare intendere quale sia una sola idea concreta partorita per far uscire dallo stallo una città infangata da anni di bulimia di incompetenza.
Non è certo addebitabile a loro, ultimi, arrugginiti, anelli della catena di comando la colpa di non saper cosa fare di fronte ai fatti che hanno permesso di far rovinare nello strapiombo della distruzione la funzione stessa della politica. D’altro canto, se colui che si immagina leader di una coalizione disegnata esclusivamente nel miraggio dei pochi militanti rimasti a difendere il fortino dei valori, si lancia in elucubrazioni pasticciate, cosa potremmo mai aspettarci dai soldatini semplici in Aula? Chiunque riesca ad interpretare il pensiero di Francesco Cannizzaro, Deputato di Forza Italia, in merito alla sentenza d’Appello che ha (ri)condannato il sindaco di Reggio Calabria, Giuseppe Falcomatà, per il caso “Miramare”, venga in soccorso. Trascorsi due giorni dall’emissione del verdetto (altri hanno fatto peggio, balbettando qualcosa di banale addirittura ancora più tardi), evidentemente serviti per elaborare una riflessione complessa sul piano intellettuale ed articolata su quello della dottrina politico-giuridica, è andato a parare in tutte le direzioni, disordinatamente e senza un filo logico. E’ partito dall’assunto che la Legge Severino, causa della perdurante sospensione del Primo Cittadino, è “da rivedere”, al pari del reato di abuso d’ufficio, addebitato all’imputato con la fascia tricolore nel cassetto. Ciononostante, sostiene Cannizzaro, deve rassegnare le dimissioni. Non sulla base, da quel che se ne deduce con estrema difficoltà di comprensione, di quanto prescritto da una norma, a detta del parlamentare ‘azzurro’, sbagliata, ma perché egli “ha una responsabilità immane rispetto al disastro generale in cui versa oggi una delle città più belle d’Italia”. Una verità incontrovertibile, si dirà. Certo, ma essa era tale anche una settimana fa, un mese addietro, nel 2020 o, risalendo ancora nel tempo già dalle prime avvisaglie chiarissime che l’Amministrazione Falcomatà, nelle sue diverse forme succedutesi a partire dall’autunno 2014, sarebbe stata una maledizione diabolica emersa dalle viscere dell’inferno per devastare Reggio Calabria. Quindi, quale sarebbe la novità? Perché il parlamentare berlusconiano, al pari di qualche altro personaggio in cerca d’autore, ha avvertito la necessità di manifestare il proprio dissenso rispetto all’operato di Palazzo San Giorgio nei giorni successivi ad una decisione giudiziaria fondata su una legge ed un reato che mettono “quotidianamente a repentaglio – ipse dixit – l’attività di sindaci ed amministratori locali”? Nella sua caotica analisi degli eventi, acciuffa al volo l’occasione per ricordare come il sindaco sospeso (nuova attività professionale da inserire nel curriculum di pochissimi fortunati) sia tale “contro la volontà della stragrande maggioranza dei reggini”. Ovvio anche questo, ma non sarebbe opportuno, a distanza di due anni, gettare la maschera e, a proposito di onestà intellettuale, assumersi la responsabilità di essersi piegato, per convenienze personali, ad una candidatura, quella del dottor Nino Minicuci, che chiunque abiti il pianeta dell’intelligenza non avrebbe immaginato di proporre nemmeno per la gestione di un chiosco di panini? Di conseguenza, qui dobbiamo intenderci una volta per tutte: o Falcomatà deve lasciare l’incarico per manifesta indegnità, come certificato da otto differenti magistrati, oppure, assecondando le leggi dello Stato italiano, ha tutto il diritto di rimanere, finché urne non lo separino, a capo della comunità reggina, ancorché destinatario di sospensione dall’incarico. La questione, se politica, ha una validità sempiterna, non a ridosso della deliberazione di un Collegio giudicante. Lo è tanto più se si pensa che questo è un Consiglio comunale venuto fuori da una competizione elettorale truccata, ed anche per constatare questa banalità non abbiamo bisogno dei vari gradi di giudizio, né di essere garantisti o giustizialisti. Sono tutti lì ad implorare, senza tanta convinzione, un “gesto d’amore” da parte degli amministratori nei riguardi della città: un modo, anche nauseante, di gettare il pallone in tribuna, tentando in maniera maldestra di deridere un elettorato disgustato al punto da provare un malcelato disinteresse nei confronti di quanto accade nel piccolo mondo di Palazzo San Giorgio. In assenza di un coinvolgimento diretto e vigoroso dei vertici nazionali dei partiti, ci si esercita in prove, rivedibili, di oratoria e retorica, ma nulla più. Pretendano la discesa in massa dei big e dei capi nazionali per accerchiare i Falchetti e mettere pressione su una banda di accattoni della vera antipolitica. Facciano diventare quello di Reggio Calabria un caso nazionale, il resto è chiacchiericcio di chi non distingue Montecitorio da Palazzo Madama. Diventa, perciò, un appello lanciato fuori tempo massimo quello rivolto ai cittadini affinché “faccia sentire la propria voce, in maniera civile, però forte (molto forte!), senza limitarsi alle chiacchiere al bar, agli articoli di sfogo, alle lettere anonime, ai post sui social o, ancora peggio, alla rassegnazione. Magari con un atto dimostrativo palese che, una volta per tutte, faccia rendere conto agli inquilini di Palazzo San Giorgio e Palazzo Alvaro che è il momento di fermarsi”. E no, troppo facile adesso, o, chissà, troppo difficile: indifferenti per anni alle suppliche provenienti dalla base, i cittadini ora se ne strafottono di Falcomatà e Brunetti, della maggioranza formata da inetti e della finta opposizione. Perché, per chi non se ne fosse accorto avvolto nella bolla senz’aria del Palazzo, la rassegnazione e il disincanto sono le uniche stelle polari seguite dal popolo reggino.