
È un patrimonio di cui le Istituzioni e la comunità non hanno ancora compreso a pieno il valore. Non solo in termini di applicazione nel settore dell’edilizia (viste le sue ormai certificate proprietà, specie in relazione alla resistenza), ma soprattutto per le sue capacità di adattamento agli stress termici e all’incostanza dell’alternarsi dei periodi di siccità ed eccessiva piovosità e come potenziale strumento di prevenzione dei disastri.
L’abete bianco delle Serre vibonesi è oggetto di rilevanti studi che attestano la sua idoneità ad essere impiegato in ambiti chiave e può rappresentare uno strumento di sviluppo sostenibile per la parte centrale della Calabria. Al fine di approfondire le specificità della specie arborea, è giunto a Serra San Bruno il giornalista e divulgatore scientifico Marco Merola, creatore del webdoc adaptation.it, che documenta le risposte del pianeta al cambiamento climatico. Merola, in tour in Calabria dopo le diverse tappe un po’ in tutto il mondo, ha incontrato – unitamente al presidente della Federazione regionale degli agronomi Francesco Cufari e all’agronomo Mariano Bertucci – Tony Poletto, che si è soffermato sulle caratteristiche di “una pianta che essendo considerata invasiva” era stata esclusa da diverse aree per scopi agricoli, spiegando le modalità con cui ha provveduto alla diffusione a scapito del pino radiata. L’imprenditore 89enne ha risploverato vecchi ricordi risalenti a 34 anni fa, quando partì il “ripopolamento”: “nelle favorevoli condizioni delle Serre – ha precisato – si possono toccare i 2 milioni di piante di rinnovazione per ettaro, una cifra impressionante rispetto alla normalità (circa un migliaio per ettaro). L’abete bianco presenta speciali capacità di adattamento e rinnovamento e, mentre altrove, viene limitato dalle piogge agite, a queste latitudini si sviluppa notevolmente”. Ma come riesce a contrastare il dissesto idrogeologico e ad impedire quei disastri verificatisi nell’Italia settentrionale con lo “scivolamento” di intere montagne? “L’abete bianco – ha sottolineato Poletto – presenta un fittone (radice centrale) che va giù parecchi metri sottoterra riuscendo a trovare l’acqua. Questa è una grande differenza rispetto all’abete rosso che ha radici radiali. Va segnalata, in questo senso, l’importanza del bosco che si rinnova da sé e non per piantagione. Inoltre gli aghi a spazzola permettono di immagazzinare le risorse idriche e quindi di resistere in condizioni di persistente difficoltà”. Come esempio della capacità di adattamento, è stato portato il taglio raso eseguito per sopperire alle esigenze derivanti dal terremoto in Irpinia: nonostante l’impatto devastante dell’azione in località “Lu Bellu” la reazione dell’abete bianco fu una sorprendente ricrescita. E oggi nelle Serre (compresa la Ferdinandea) si stima la presenza di 25-30 milioni di piante fra i 40 ed i 150 anni.
Merola, coadiuvato da un reporter specializzato, ha effettuato delle riprese con l’ausilio di un drone per testimoniare la presenza e lo stato dell’abete bianco in località Santa Maria del Bosco. Il servizio che sarà prodotto chiarirà ulteriormente il valore di una risorsa finora ingiustificatamente sottovalutata.

