
Nel giro di pochissimi giorni e prima di affrontare l’ultima curva di una campagna elettorale per il rinnovo del Consiglio regionale banale, monca di guizzi, idee e programmi, sorretta solo dalla brama di stringere quel dorato, quanto agognato, scranno dell’Aula di Palazzo Campanella, sia Amalia Bruni che Luigi De Magistris hanno avvertito, con impaziente smania la necessità di fare un bagno nel lago, ormai prosciugato dalla retorica e dal tempo inesorabile, dell’antifascismo e della Resistenza partigiana.
In quali termini si concretizzino questi valori sbandierati nel deserto di attenzione da parte dell’opinione pubblica rimane un mistero, al contrario della motivazione che porta ad indugiare su temi ormai depositati nel fondale del trapassato remoto. Non avendo idee potenti, non maneggiando argomenti credibili e realisti, non mirando ad obiettivi realistici, si affidano ad un passato svuotato di significato per congegnare la costruzione di una identità altrimenti priva di spessore e consistenza. Già oltre un quarto di secolo addietro facevano tenerezza gli allucinati vaneggiatori che vedevano in Silvio Berlusconi il “Cavaliere nero”, la stessa compassione avvertita nei confronti dello stesso leader di Forza Italia e dei suoi adepti che vedevano il fantasma comunista volteggiare inquietante sul profilo dello Stivale. Soffermarsi, anche solo per un attimo, su queste sciocchezze vorrebbe essere, nelle intenzioni degli attori politici in questione, un’arma di distrazione di massa, ma è talmente inoffensiva da imprigionare nella bolla delle assurdità sia loro stessi che quei pochi reduci usciti con le ossa rotte ed il cervello annebbiato dal buio della Storia. Tenebre che nascondono la vera atrocità: l’attualità raccapricciante, mozzata di opportunità e fiducia nel domani, patita dai calabresi (almeno quei pochi coscienti del tormento angosciante provocato dal campare in Calabria).