Il bisogno, il lavoro (mancante), i voti e la capezza

Storie di perdurante sofferenza, di giorni passati a lavorare sperando che la ruota giri. Storie di quotidiana ingiustizia che ripropongono il solito spaccato di una terra in cui c’è chi ha il problema dell’oggi e chi su quella incertezza ci marcia e costruisce carriere.
Storie di attaccamento ad un lavoro che non è nemmeno tale e storie di assistenzialismo, diciamolo apertamente, che diventa trappola rischiando addirittura di peggiorare la condizione di chi, in teoria, si dovrebbe aiutare.
Vivono sentimenti contrastanti i tirocinanti in servizio al Comune di Serra San Bruno, al Parco delle Serre ed in tutti gli altri Enti calabresi che hanno selezionato i percettori di mobilità in deroga per svolgere attività di pubblica utilità. Loro, i lavoratori, di quel pugno di euro hanno bisogno per mantenere una famiglia, affrontare una spesa imprevista o semplicemente per riprendersi quella dignità che senza lavoro non può esistere.
Sembrano i destinatari di numeri che i burocrati gestiscono spostandoli con disinvoltura da una casella all’altra o ancora numeri essi stessi da conteggiare fra qualche mese al momento dello scrutinio. Di loro, nei “giorni qualunque” – quelli lunghi, tanti e vuoti nel corso dell’anno – non interessa a nessuno. Di loro, ci si ricorda quando si è in prossimità di scadenze elettorali. Già, perché, forse casualmente, nel circuito amministrativo-finanziario, precari e “similari” girano e rigirano soprattutto nei periodi immediatamente antecedenti alla predisposizione delle urne. Regione e Governo (in questo caso gli Enti utilizzatori non c’entrano nulla dal punto di vista economico) annunciano, promettono, dimostrano “attenzione e sensibilità” a clessidra svuotata: i fatti indicano altro. Non è una questione di colore politico – destra o sinistra poco cambia – ma di abitudini e algide strategie. Il rincorrersi di date alimenta il sospetto di voler tenere per la capezza persone che, se pienamente libere ed indipendenti, forse si sarebbero comportate in maniera diversa.
I tirocinanti quindi rappresentano l’estremizzazione del concetto di precarietà: lavorano da 3-4 mesi, secondo quando riportano loro stessi i soldi li vedranno con tutta probabilità fra altri 3-4 mesi. Cioè a distanza di 6-8 mesi dall’inizio delle attività. Cioè a poche settimane dal voto.
Dietro alla disastrosa gestione della loro situazione, c’è un po’ di tutto. C’è chi parla di carenza di risorse, chi di incapacità di programmare e gestire, chi di volontà di creare problemi per poi risolverli al momento opportuno. Ipotesi, perplessità, cattivi pensieri, verità confuse e mischiate con ansiose fantasie.
Di sicuro, ci sono due “mondi”: quello di chi vive in villa ed è specializzato nel generare aspettative e quello di chi non riesce a racimolare l’importo dell’affitto. Storie opposte che andranno avanti finché, come la storia insegna, quella capezza non sarà levata dal collo.

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