
Un dibattito tra candidati a sindaco è la forma più compiuta di riguardo nei confronti della cittadinanza alla quale ci si propone. Proprio per l’alta valenza che si racchiude in confronti di cotanto livello, è doveroso rendere omaggio a chi si fa carico dell’organizzazione di appuntamenti simili. Ed è la stessa motivazione che induce a pretendere dalle stesse persone un senso di responsabilità in assenza del quale eventi del genere rischiano di essere sviliti dalla macchia della finzione.
E’ quello che è capitato nel tardo pomeriggio di mercoledì quando, al Parco Ecolandia di Reggio Calabria, l’Istituto Superiore di formazione politico sociale “Monsignor Lanza” ha messo assieme gli aspiranti alla carica di Primo Cittadino. Dei nove in corsa hanno risposto in sette e già questo è motivo di ampia riflessione. Guarda caso, a dare forfait sono stati i due forestieri, lo svizzero Klaus Davi ed il melitese che vive a Massa e lavorava a Genova, Antonino Minicuci, diretta espressione della Lega. La notizia, in realtà, sarebbe stata tale in caso di loro presenza: non ha importanza quali ragioni li abbiano tenuti lontani dalla discussione, poiché nella fase clou di una campagna elettorale tutto avrebbe dovuto essere accantonato pur di rendere possibile la partecipazione ad un rito che aiuta l’elettorato a scegliere con consapevolezza. Invero, che il pensionato melitese non sarebbe stato della partita, già nelle ore precedenti era un’ipotesi talmente scontata che tra addetti ai lavori ci si domandava su come avrebbe mai potuto raggiungere il luogo dell’incontro se non ha la più pallida idea nemmeno circa l’esatta collocazione geografica del Parco Ecolandia: si troverà in quartiere a nord o a sud della città? Vai a saperlo. Ma questo è un problema per chi lo ha scelto e per chi lo subisce, peraltro vantando un amore per la città che ha i connotati, volenti o nolenti, di un estraneo spedito, senza cognizione di causa, in riva allo Stretto da Matteo Salvini. Così stando le cose, il problema è affare esclusivo di un presunto centrodestra reggino che ha scelto di svendere l’anima per spregevole tornaconto dei suoi singoli rappresentanti anelanti di rimettere le mani sulla città. L’ex segretario comunale non è stato l’unico ad essere dileggiato dalla realtà da cui, non potendola affrontare perché indecorosamente impreparato a ricoprire l’incarico di Primo Cittadino di una comunità che non è la sua, ha ritenuto conveniente scappare non presentandosi all’appuntamento. Ad uscire col prestigio ammaccato sono stati anche gli organizzatori dell’incontro. Perché ci si arroghi questo ruolo non basta gloriarsi che da trent’anni l’Istituto prepara tali contraddittori: è essenziale infilarsi l’abito di una autentica terzietà. Piazzare trappole lungo la strada di qualcuno fra i contendenti rischia di produrre un effetto boomerang dalle conseguenze sorprendenti per gli istigatori travestiti da arbitri. E’ esattamente ciò che è capitato con il tentativo sgraziato di mettere in difficoltà Angela Marcianò. Interpellata alla fine del primo giro (l’unico ad essere completato prima che la pioggia causasse l’interruzione definitiva), che avrebbe dovuto essere caratterizzato da una domanda di natura politico-amministrativa, ha fronteggiato con impeccabile tranquillità la doppia insidia malamente orchestrata. La prima è data dal fatto che, in tali occasioni l’ordine con cui sono chiamati in causa gli sfidanti non può essere soggettivo: che sia alfabetico o per sorteggio, deve, comunque, avere un criterio imparziale e così non è stato. La seconda, invece, è costituita dall’aspetto singolare assunto dal quesito formulato alla docente universitaria: “Perché lei, componente del Comitato Direttivo del PD, oggi si presenta con l’appoggio del Movimento Sociale Fiamma Tricolore? I valori antidemocratici esplicitamente ammessi da una parte di quel partito possono essere accolti nel suo programma?” A prescindere che, da qualsiasi prospettiva la si voglia osservare, non è dato sapere quale sia l’attinenza di tale richiesta con temi di carattere politico-amministrativo, è naturale chiedersi cosa risulti di difficile comprensione nel significato di indipendenza. Angela Marcianò, che nel rispondere ha giganteggiato con meticolosa precisione e maestria, da indipendente entrò nella Segreteria nazionale del PD, indipendente è rimasta in quel breve frangente e da indipendente si è messa alle testa di quattro liste, tre delle quali sono civiche ed una è espressione di un partito. Piaccia o non piaccia la verità, questo è. L’unico e solo filo conduttore, come intuibile anche da menti anguste, è l’indipendenza: quella suggestione pericolosissima per coloro che perpetuano a rimanere soggiogati dalla schiavitù ideologica. Il manicheismo dottrinale, però, si rivela un inutile orpello per chi deve amministrare, con capacità e progetti concreti, una città. Quegli stessi piani che emergono, con prepotente chiarezza, in ognuna delle 101 pagine del programma di Angela Marcianò.