“Al potere la fantasia”: Vasco, De Andrè e il tradimento della sinistra

di Bruno Vellone – Era il 6 febbraio 1993 quando uscì dalle sale d’incisione il decimo album di Vasco Rossi “Gli spari sopra” scritto a quattro mani con l’amico di sempre, Massimo Riva. Nella raccolta di canzoni ne spiccava una in particolare che voleva essere il testamento politico di entrambi gli autori che avevano vissuto, ciascuno a suo modo, le illusioni degli anni ’70, quell’era post sessantottina che avrebbe fatto da preludio agli anni del reflusso e del disimpegno.

“Stupendo” è il racconto della disillusione dei suoi autori, di come i sogni, le utopie e le speranze di quello che sarebbe diventato il “popolo tradito” sono state via via calpestate proprio da chi dai palchi sono sosteneva delle cose mentre a conti fatti ne faceva altre. Incendiari trasformati in pompieri, rivoluzionari in amministratori che hanno dimenticato la devozione verso l’interesse pubblico e che al bene comune hanno preferito l’interesse personale. “E mi ricordo chi voleva al potere la fantasia / erano giorni di grandi sogni sai erano vere anche le utopie, eh / ma non ricordo se chi c’era aveva queste facce qui / non mi dire che è proprio così non mi dire che son quelli lì”. Ed invece sono proprio quelli li, risponderemmo noi. Mentre Massimo Riva aveva vissuto la sua esperienza politica a contatto con gruppi più o meno organizzati di estrema sinistra, Vasco Rossi era stato a contatto con gli “Indiani metropolitani”, gruppi autorganizzati che usavano fantasia ed ironia come clave per colpire benpensanti e politici di regime. Ma ora, a distanza da quegli anni, tutto ciò che rimane è il vomito per come siano andate a finire quelle illusioni, vomito che alcuni anni dopo avrebbe fino per soffocare anche la vita di Massimo Riva morto di overdose del 1999. Del fenomeno degli Indiani metropolitani ne aveva raccontato Fabrizio De Andrè nella celebre canzone “Coda di lupo”, rievocando l’episodio avvenuto il 17 febbraio 1977, quando l’allora segretario generale della CGIL, Luciano Lama, venne duramente contestato durante un comizio sindacale presso l’Università “La Sapienza” di Roma, proprio dagli Indiani metropolitani che si erano uniti agli studenti, costringendolo a battere la ritirata, perché non potevano pensare di fumare il “Calumè” (pipa simbolo di libertà e pace degli Indiani d’America) con chi chiedeva di calmierare la protesta. “Ed ero già vecchio quando vicino a Roma a Little Big Horn / capelli corti generale ci parlò all’università  / dei fratelli tute blu che seppellirono le asce / ma non fumammo con lui, non era venuto in pace / e a un Dio “fatti il culo” non credere mai”. Lama aveva tentato di convincere gli studenti che anche gli operai erano d’accordo che bisognava terminare la protesta e riprendere la produzione, quella produzione che il capitalismo benedice come “etica del lavoro”. Qualcuno si era già dimenticato di quello che aveva detto molti anni prima, il filosofo inglese, Bertrand Russell: “L’etica del lavoro è l’etica degli schiavi, ed il mondo non ha bisogno di schiavi”.

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