
Con una facile battuta si potrebbe dire che il PD quando corre da solo vince.
Si rivelerebbe, però, un’espressione infelice buona solo a nascondere una profonda ignoranza politica. Il dato che le Primarie del Partito Democratico consegnano alle analisi del giorno dopo non lascia, infatti, margini a dubbi: i perplessi e gli appassionati di frasi satiriche ad effetto farebbero bene a tacere. Sia il bilancio numerico relativo all’affluenza, che riferisce di un milione ed ottocentomila persone in carne ed ossa in fila ordinata lungo un immaginario serpentone da Trento a Trapani, sia la nettezza della vittoria di Nicola Zingaretti, scrivono un messaggio a caratteri cubitali sulla pietra della società italiana: il PD è vivo e molto vegeto. La sensazione, anzi, è che questo altro non sia che un punto di partenza, una base, solidissima, da cui ripartire con linguaggio nuovo ed obiettivi diversi rispetto alla stagione renziana, definitivamente seppellita dalla messe di schede collocate nelle urne dei seggi allestiti in tutta Italia. Per una volta, peraltro, la Calabria è la cartina di tornasole del Paese: numeri plebiscitari che suggeriscono alcune considerazioni. Innanzitutto c’è un popolo, variegato ma con valori non negoziabili, che ha colto l’occasione per ricominciare a riporli nella cassaforte della storia di una sinistra ammaccata recentemente dalle fughe in avanti di Renzi e compagni. Un desiderio, non più sopprimibile, di normalità, dopo gli eccessi liberal-progressisti destinati, con Zingaretti, ad essere riposti nella soffitta dove sistemare tutto ciò che ha riempito la parentesi del Matteo fiorentino. Se qualcuno ritiene, in buona o malafede, che i 70 mila calabresi accorsi a manifestare la propria presenza civile, prima ancora che la propria preferenza politica, costituiscano le tradizionali truppe cammellate mobilitate dai capibastone del partito, ha capito poco meno di nulla ed il consiglio spassionato è quello di dedicarsi ad altri interessi nella vita lasciando perdere la politica. Sicuramente una parte di elettori è arrivata al seggio munita, oltre che di tessera elettorale e documento d’identità, anche di una massiccia dose di inconsapevolezza. Si tratta, tuttavia, di una percentuale minoritaria, quasi risibile, se messa a confronto con i tantissimi che, invece, hanno ritenuto doveroso esserci: per spirito critico nei confronti di un Governo deludente, per coscienza civile travolta dal treno di un Esecutivo viaggiante sui binari di una emergenza infinita costruita sulla paura nei confronti di tutto e tutti. Se è vero tutto ciò, è altrettanto vero che quella unità del partito in serata immediatamente richiamata dal neo Segretario e dai due contendenti, Maurizio Martina e Roberto Giachetti, non dovrebbe far dormire sonni tranquilli ai due azionisti di maggioranza di Palazzo Chigi: Salvini e Di Maio. Le cifre di ieri non sono riducibili ai trend cui siamo abituati dai troppi sondaggi che circolano un giorno sì e l’altro pure; vanno considerati per quel che rappresentano: dati veri e duri come il granito. Lega e Movimento 5 Stelle sbaglierebbero a sottovalutarli. La Calabria, per esempio, è chiamata, nell’arco di qualche mese, a diverse competizioni elettorali locali, a partire da quella che interesserà il Consiglio comunale di Vibo Valentia. Seguiranno le Regionali e le Amministrative a Reggio Calabria. Già in altre circostanze la nostra attenzione si è appuntata sulla assoluta inconsistenza dei pentastellati che, infatti, sul territorio non costituiscono motivo di preoccupazione per le altre forze politiche, ma i leghisti commetterebbero un errore catastrofico per le strategie salviniane se ritenessero di essere al riparo da magre figure. In questa regione non sono ancora riusciti a mettere radici ed è illusorio pensare che l’immagine “legge e ordine” proposta dal ministro dell’Interno possa funzionare ancora a lungo e risulti efficace anche quando non è lui ad essere impegnato direttamente. Dal Pollino allo Stretto le sorti della Lega, ad oggi, sono nelle mani di perfetti sconosciuti senza qualità le cui difficoltà gigantesche partono dall’incapacità di mettere in fila due parole in lingua italiana. Quei pochissimi che dispongono della cassetta degli attrezzi per una politica di buon livello continuano ad essere tenuti sulla porta, senza che abbiano voce in capitolo e senza che possano indicare la via alle truppe. Proprio la lezione impartita dal Partito Democratico nella domenica delle Primarie è da considerare, risultati alla mano, esemplare. Mentre i frondisti ed i contestatori in servizio permanente effettivo si divertono a contestare, dall’interno, le leadership, i veri padroni del PD fanno incetta di voti: in tutte le province calabresi Zingaretti, sostenuto, tra gli altri, da Mario Oliverio e Giuseppe Falcomatà, ha spadroneggiato con percentuali oscillanti tra il 65 ed il 75%, lasciando le briciole ai competitors. Ed anche la gara interna alla mozione a sostegno del nuovo Segretario nazionale è stata vinta con un divario enorme dalla lista approntata dal presidente della Regione che, in vista delle decisioni riguardanti la sua ricandidatura, sarà lì a distribuire le carte a chi, come Guccione e Censore, polemici con la sua conduzione, avevano dato vita ad una seconda lista. Ad addolcire, e pure parecchio, la pillola all’ex deputato serrese è il trionfo schiacciante nella sua provincia di appartenenza e, ancor di più, nella sua area di riferimento, dove ha contribuito in maniera decisiva a far toccare a “Calabria con Zingaretti” una quantità di consensi che non è stata minimamente scalfita nemmeno dalle defezioni dell’ultimo momento registratesi all’interno della compagine amministrative guidata da Luigi Tassone. Da oggi in avanti, lungo il percorso che condurrà verso le prossime, importantissime, consultazioni locali, non si potrà prescindere da quanto accaduto ieri, come non si potrà prescindere da quel che diranno, con voce chiara e forte le Elezioni Europee del 26 maggio, fondamentale banco di prova per tutte i partito che vi si cimenteranno.
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