
Riti e schemi di affiliazione, estensione dei tentacoli in diversi settori economici, evoluzione e scontri all’interno dell’organizzazione criminale. La relazione semestrale della Dia, relativa alla seconda metà del 2019, mette in luce una serie di aspetti che gli inquirenti ritengono importanti ai fini della lotta alla ‘ndrangheta.
Di seguito, proponiamo la parte della relazione concernente la provincia di Vibo Valentia:
La provincia di Vibo Valentia è caratterizzata dalla ormai consolidata presenza della famiglia Mancuso di Limbadi, che unitamente a consorterie satellite, mantiene alleanze e collegamenti con cosche del Reggino e nella Piana di Gioia Tauro. Negli ultimi anni si è, in più occasioni, apprezzata la pericolosità della cosca Mancuso, manifestatasi concretamente non solo sotto il profilo “militare”, ma anche e soprattutto in quello delle infiltrazioni negli apparati politico-amministrativi e nel mondo imprenditoriale. In tale contesto, gli esiti della complessa inchiesta giudiziaria denominata “Rinascita Scott”, condotta dai Carabinieri del 19 dicembre 2019, ne sono una ulteriore conferma. Le attività investigative dirette dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Catanzaro hanno disarticolato in profondità la cosca Mancuso con l’arresto di 338 persone (260 in carcere, 73 ai domiciliari e 5 divieti di dimora), in Italia e all’estero, per un totale di 416 indagati, accusati a vario titolo di associazione di tipo mafioso, omicidio, estorsione, usura, fittizia intestazione di beni, riciclaggio e altri reati aggravati dalle modalità mafiose. È emersa fortemente la costante ricerca di contatti con esponenti politici, influenti professionisti, rappresentanti delle istituzioni e dell’imprenditoria con annessi segmenti deviati della massoneria, finalizzati al perseguimento di affari illeciti. Tra le cosche censite nel corso delle indagini, oltre al coinvolgimento dei vertici dei Mancuso del locale di Limbadi, figurano i Larosa di Tropea, i Fiarè-Razionale-Gasparro di San Gregorio d’Ippona, i Lo Bianco-Barba e i Camillò-Pardea del locale di Vibo Valentia città, gli Accorinti del locale di Zungri i Piscopisani del locale di Piscopio, i Bonavota del locale di Sant’Onofrio, i Cracolici tra le ‘ndrine di Filogaso e Maierato, i Soriano di Filandari, Ionadi e San Costantino, i Pititto-Prostamo-Iannello della società di Mileto, i Patania del locale di Stefanaconi ed altri gruppi-‘ndrine collegati. In tale contesto, è stata ricostruita la struttura della ‘ndrangheta, confermandone l’unitarietà “…sulla base delle regole formali e dei livelli gerarchici e funzionali (doti, cariche) propri del c.d. ‘Crimine di Polsi’, suddivisa nelle seguenti articolazioni territoriali e funzionali: ‘Ndrine… Locali/Società… organi o strutture intermedi come il Crimine/Criminale locale, la Camera di Controllo, il Mandamento, la ‘Provincia’ (come la ‘Provincia’ di Cutro o la ‘Provincia’ di Vibo Valentia)… la ‘Provincia’ di Reggio Calabria…”. Il risultato è stato raggiunto dopo oltre tre anni di indagini che hanno fatto luce su una lunga serie di rapporti tra la potente cosca Mancuso e il mondo politico-imprenditoriale. È stata confermata, come detto, l’unitarietà formale della ‘ndrangheta nella sua complessità e ricostruito il sistema di controllo e gestione del territorio, nonostante l’accertata autonomia delle sue articolazioni territoriali, collegando tra loro anche una serie di omicidi e tentati omicidi perpetrati nel corso degli ultimi anni. Un ruolo centrale in questi rapporti lo avrebbe avuto un avvocato catanzarese, descritto in atti come “un Giano bifronte”, accreditato nei circuiti della massoneria deviata e in grado di far relazionare la ‘ndrangheta con società straniere, università, circuiti bancari e con le istituzioni in generale,“fungendo da passe-partout dei Mancuso, per il ruolo politico rivestito, per la sua fama professionale e di uomo stimato nelle relazioni sociali”. Un vero e proprio “uomo cerniera” che “avrebbe messo sistematicamente a disposizione dei criminali il proprio rilevante patrimonio di conoscenze e di rapporti privilegiati con esponenti di primo piano a livello politico-istituzionale, del mondo imprenditoriale e delle professioni, anche per acquisire informazioni coperte dal segreto d’ufficio e per garantirne lo sviluppo nel settore imprenditoriale”. Sono risultati coinvolti anche uomini delle istituzioni militari, imprenditoriali e della politica regionale, tra cui anche un amministratore locale che, grazie al suo ruolo, avrebbe tenuto condotte amministrative illecite a favore della criminalità organizzata locale, assicurando agevolazioni nella gestione delle attività imprenditoriali. Ancora, sono stati documentati vari summit per conferire promozioni e di incarichi ad affiliati ,rinvenendo (per la prima volta) un pizzino contenente la formula di conferimento del cd. Trequartino, ovvero una delle cariche principali della criminalità organizzata calabrese, inferiore soltanto ai gradi di Padrino e Quartino.
Gli investigatori sono riusciti a ricostruire il “coacervo di relazioni tra i ‘grandi’ della ‘ndrangheta calabrese e i ‘grandi’ della massoneria, tutti ben inseriti nei contesti strategici (giudiziario, forze armate, bancario, ospedaliero e via dicendo)”, in ragione di un “pactum sceleris”, oggetto di importanti propalazioni rese da diversi collaboratori di giustizia. Relazioni che avrebbero visto protagonista, per la ‘ndrangheta, anche il boss della cosca Mancuso. Una struttura che aveva il controllo su ogni tipo di affare, dal più semplice al più complesso, fino alle elezioni. “Nelle competizioni elettorali – dice – infatti, i candidati ‘massoni’ venivano appoggiati dagli appartenenti segreti chiamati ‘Sacrati sulla Spada’, ovvero dei criminali che facevano catalizzare su di loro i voti”. Dalla lettura del provvedimento restrittivo emerge il testo, molto significativo, di una conversazione intercettata, ove il boss dei Mancuso così si esprime: “La ‘ndrangheta non esiste più! … una volta, a Limbadi, a Nicotera, a Rosarno, a …c’era la ‘ndrangheta! …la ‘ndrangheta fa parte della massoneria! … Diciamo … è sotto della massoneria, però hanno le stesse regole e le stesse cose …ora cosa c’è più? … ora è rimasta la massoneria e quei quattro storti che ancora credono alla ‘ndrangheta! Una volta era dei benestanti la ‘ndrangheta! … dopo gliel’hanno lasciata ai poveracci, agli zappatori … e hanno fatto la massoneria! … le regole quelle sono! … come ce l’ha la massoneria ce l’ha quella! Perché la vera ‘ndrangheta non è quella che dicono loro…, perché lo ‘ndranghetista non è che va a fare quello che dicono loro… perché una volta, adesso sono tutti giovanotti che vanno.., vanno a ruota libera sono drogati!…”. L’inchiesta “Rinascita Scott” ha, quindi, ancora una volta confermato la centralità della cosca Mancuo anche nella sua capacità di intessere, relazioni con altre matrici mafiose: “…Oltre al ruolo di polo di riferimento dell’ampia rete delle strutture ‘ndranghetiste vibonesi – scrivono i magistrati – è chiaramente emersa anche la sua rilevanza a livello extra provinciale, dimostrata sia dagli attuali e strutturati rapporti, finalizzati al mutuo soccorso ed allo scambio di favori criminali, instaurati, tra gli altri, con i De Stefano di Reggio Calabria e i Piromalli di Gioia Tauro, sia dai rapporti intrattenuti con esponenti di Cosa Nostra, databili all’epoca pre-stragista”. In estrema sintesi, le risultanze dell’operazione di polizia hanno documentato i seguenti punti cardine: l’esistenza di strutture quali società, locali e ‘ndrine, in grado di controllare il territorio di riferimento e di gestirne capillarmente ogni attività lecita o illecita; lo sviluppo di dialettiche inerenti alle regole associative, nello specifico, sulla legittimità della concessione di doti ad affiliati detenuti e sui connessi adempimenti formali; l’utilizzo di tradizionali ritualità per l’affiliazione e per il conferimento delle doti della società maggiore, attestato dal sequestro di alcuni pizzini riportanti le copiate; l’operatività di una struttura provinciale – il Crimine della Provincia di Vibo Valentia – con compiti di coordinamento delle articolazioni territoriali e di collegamento con la Provincia di Reggio Calabria quale vertice assoluto della ‘ndrangheta unitaria. A tal ultimo proposito, a capo della citata struttura si sono alternati, negli anni, esponenti della cosca Mancuso, che proprio in tale ruolo di vertice hanno governato gli assetti mafiosi della provincia, riuscendo anche a ricomporre le tensioni registrate negli anni tra le varie fazioni. Per quanto concerne la pluralità di condotte delittuose individuate nel corso delle indagini, è stata accertata la capacità di infiltrazione nell’imprenditoria, operata con meccanismi sempre più sofisticati, grazie al contributo di professionisti collusi e dimostrata dalle numerose fittizie intestazioni documentate dalle indagini e da svariate operazioni di riciclaggio svolte nella provincia vibonese. Riciclaggio rivolto all’acquisto di strutture turistico-alberghiere, bar, ristoranti, imprese operanti nel settore alimentare e della distribuzione, e con investimenti nel settore immobiliare svolti da soggetti prestanome, nonché con la partecipazione ad aste pubbliche per l’acquisto di terreni, immobili e autovetture di pregio, tramite terzi soggetti. A Roma, invece, è stata creata una rete di negozi operanti nel settore calzaturiero ed aperta una fabbrica, attraverso un circuito societario facente capo a società di diritto britannico controllate da articolazioni dell’associazione, mentre a San Giovanni Rotondo è stata acquistata una struttura turistico-alberghiera in società con imprenditori lombardi in difficoltà economiche. Le attività si sono estese anche all’estero, nel Regno Unito, tramite la creazione di reti societarie, necessarie a simulare operazioni commerciali per ripulire il denaro di provenienza delittuosa, successivamente investito in imprese attive sul territorio italiano. Per quanto riguarda la nefasta influenza del contesto mafioso in esame sul tessuto socio-economico vibonese, non di minore pericolosità è risultato l’accaparramento di terreni rurali nella provincia ottenuto con modalità estorsive, la sistematica pressione usuraria ed estorsiva svolta nei confronti dei commercianti e degli imprenditori, il controllo del traffico di droga, la commissione di danneggiamenti tramite incendi ed esplosioni di colpi d’arma da fuoco, nonché il controllo dei servizi funerari. Infine, a dimostrazione dell’elevato livello di pericolosità dell’associazione, rilevano i sequestri – effettuati in più occasioni – di numerose armi comuni e da guerra. Complessivamente, sono state sequestrate 11 tra pistole e revolver, 12 tra fucili, carabine e mitragliatori, nonché abbondante munizionamento di vario calibro. Sempre con riferimento alla famiglia Mancuso, nell’ambito dell’operazione “Maq lub”, il 18 luglio 2019 i Carabinieri hanno eseguito il fermo di indiziato di delitto di un esponente apicale e di un suo affiliato, accusati in concorso di estorsione, usura ed illecita concorrenza con violenza o minaccia. Altri 5 soggetti sono stati indagati in stato di libertà (due dei quali, tuttavia, raggiunti da ordinanza di custodia cautelare, unitamente ai due fermati, per gli stessi fatti il successivo 8 agosto). I soggetti coinvolti sono accusati di aver preso di mira un imprenditore di Nicotera, attivo nel settore dell’arredamento, intromettendosi nel debito che quest’ultimo aveva con una terza persona.
Importanti risultati sono stati ottenuti anche sul piano dell’aggressione patrimoniale. Il 17 ottobre 2019, nell’ambito dell’operazione “Terra nostra”, la Guardia di Finanza ha sottoposto a sequestro un ingente patrimonio, per un valore di circa 20 milioni di euro, riconducibile ad un esponente di spicco della cosca Mancuso, in palese sproporzione rispetto ai redditi dichiarati dall’uomo e dai suoi congiunti. Complessivamente, sono stati individuati e sequestrati 92 terreni, 16 fabbricati, 9 autoveicoli e un trattore agricolo, 2 aziende agricole con sede a Limbadi e 2 ditte individuali con sede a Filandari. Sul piano giudiziario, il 30 ottobre 2019 la Corte d’Appello di Catanzaro ha emesso 8 condanne nel processo di secondo grado scaturito dall’operazione “Overing”, conclusa dai Carabinieri il 9 marzo 2015 con l’esecuzione di una misura restrittiva nei confronti di 44 indagati per associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti. Le indagini avevano ad oggetto una struttura transnazionale di matrice ‘ndranghetista, costituita anche da soggetti collegati alla cosca Mancuso e dedita al traffico internazionale di cocaina dal Sud America, consentendo di sequestrare circa 600 kg di stupefacente. Nello stesso ambito mafioso, il 26 novembre 2019 i Carabinieri di Vibo Valentia hanno catturato un esponente della famiglia Mancuso, latitante dal settembre 2018, in esecuzione di un ordine di carcerazione emesso dalla Procura Generale della Repubblica presso la Corte d’Appello di Milano. L’uomo è stato rintracciato, unitamente ad altri due soggetti arrestati per favoreggiamento personale, e sorpreso in possesso di armi e soldi contanti. Ancora ,il 16 ottobre 2019 i Carabinieri di Vibo Valentia hanno notificato una misura cautelare ad un soggetto già detenuto, contiguo al locale di San Gregorio d’Ippona, perché ritenuto responsabile dell’omicidio di un pluripregiudicato, commesso il 1° marzo 2011. Il panorama criminale nella provincia di Vibo Valentia conferma la contrapposizione tra il locale di Piscopio e i Mancuso.
Analoga insofferenza verso l’egemonia della famiglia di Limbadi è stata ,nel tempo, manifestata anche dagli Anello-Fruci, stanziati nella zona dell’Angitola (estremità nord della provincia), dai clan Vallelunga-Emanuele (operanti nell’area delle “Serre Vibonesi”,estremità orientale della provincia) e dal gruppo Bonavota (di Sant’Onofrio, a nord di Vibo Valentia). In tale contesto, il 17 ottobre 2019 la Polizia di Stato ha eseguito un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di un pregiudicato vibonese, ritenuto responsabile di associazione di tipo mafioso, avendo partecipato attivamente al locale di ‘ndrangheta dei Piscopisani, rendendosi protagonista di innumerevoli attività delittuose poste in essere tra il 2010 e il 2012, nel tentativo di contrastare il predominio della cosca Mancuso. Tornando al capoluogo, si conferma anche nell’attuale semestre la presenza, sempre attiva, della famiglia Lo Bianco, mentre nell’area geografica di Mileto si segnalano i Pititto-Prostamo-Iannello, nonché nella zona marina quella dei Mantino-Tripodo. L’11 luglio 2019, a San Giovanni di Mileto, nell’ambito dell’operazione “Amore letale”, i Carabinieri hanno eseguito il fermo di indiziato di delitto, emesso dalla Dda di Catanzaro nei confronti di un esponente di vertice 31enne della cosca Prostamo, ritenuto responsabile dell’omicidio di un giovane 26enne, scomparso nell’ottobre 2018, maturato per futili motivi210. Infine, le famiglie Fiarè-Razionale hanno la loro egemonia territoriale nella zona di San Gregorio d’Ippona, mentre nei territori di Stefanaconi e Sant’Onofrio sono attive le famiglie Petrolo, Patania e i Bonavota, questi ultimi presenti anche fuori regione ed in particolare in Piemonte. Quasi tutte le famiglie citate sono rimaste coinvolte, come già evidenziato, nella complessa inchiesta “Rinascita-Scott”.
