
Tentiamo di arrivare subito al nocciolo della questione, provando a pronunciare il meno possibile la parola più abusata di questi ultimi dieci giorni a Reggio Calabria: dimissioni. Facciamolo perché il punto nodale sembra essere stato smarrito nella tarantella di chiacchiere, simulazioni, millanterie ed indolenza a cui stiamo assistendo nell’attesa della riunione in programma stasera tra i rappresentanti della maggioranza ed i loro padroni e signori e che certo non muterà la rotazione dell’asse terrestre.
In tanti, dal minuto successivo alla lettura della sentenza che ha portato alla sospensione dei vertici di Comune e città Metropolitana, abbiamo indirizzato la richiesta di fare un passo indietro ai consiglieri di centrodestra e delle minoranze in generale. Ciò facendo, tuttavia, ci siamo spostati su un terreno impervio che ha reso invisibile l’elemento centrale della situazione attuale: la necessità etica che a scendere di corsa le scale di Palazzo San Giorgio fossero per primi gli esponenti della maggioranza. Il paradosso, invece, è stato proprio questo: mentre dalle parti dell’opposizione si litiga sul da farsi, subendo pressioni da ogni dove affinché togliessero il disturbo per sottrarsi alle accuse di essere conniventi, nelle stanze sature del cattivo odore dei brogli e dell’abuso d’ufficio i “principali” continuano a tessere le trame per far rimanere impigliate nelle loro strette maglie tossiche le (s)fortune della città. La realtà fattuale, però, dice ben altro: dice che ad essere stato destituito per un anno e mezzo dalla carica di Primo Cittadino è Giuseppe Falcomatà, dalla carica di vicesindaco metropolitano è Armando Neri, dalle cariche di consiglieri metropolitani delegati sono Giuseppe Marino e Nino Zimbalatti, dalla carica di assessore comunale ai Lavori pubblici è Giovanni Muraca. I proprietari delle chiavi dei due Palazzi che si affacciano su Piazza Italia sloggiati con le cattive e noi cosa facciamo? Pretendiamo siano solo le minoranze ad abbandonare il campo. Certo, il segnale politico deflagrante, nel momento in cui esse saranno formalizzate e non promesse davanti ad un notaio, c’è tutto, ma nella sostanza nulla muta del quadro generale se cinque membri della maggioranza non si alzeranno dagli scranni per uscire definitivamente di scena. La domanda da porsi, infatti, è un’altra: come fa il centrosinistra che per anni è salito in cattedra per impartire lezioncine di moralità a destra e a destra a non abbozzare una reazione di fronte al taglio netto delle sue stesse teste tranciate dalla ghigliottina della Giustizia? Come fa ad assorbire come se nulla fosse che l’essenza stessa della democrazia è stata messa in discussione con l’uscita di scena di un sindaco eletto direttamente dal popolo ed ora sostituito da un avanzo elettorale che ha messo assieme qualche centinaio di voti e la fedeltà al capo ed agli equilibri di cui, evidentemente, sono entrambi portatori? Ordine istituzionale, a dirla tutta, imporrebbe che il primo ad alzare le mani ed a scappare a gambe levate, al fine di non sporcare l’immagine dei due enti, avrebbe dovuto essere lo stesso Falcomatà, il quale, invece, ha pensato bene di provare, inutilmente viste le reazioni indemoniate degli altri contraenti, a blindarsi con due affezionati fedeli. In assenza del senso dello Stato dimostrato da sindaco e facente FINZIONI, possibile che gli assessori pro tempore non avvertano la necessità di smarcarsi dalla condotta di chi lì li ha piazzati e giudicata penalmente meritevole di una pena e perciò ora fuori scena per quanto prescritto dalla Legge? Scherzo del destino vuole che nelle mediazioni tra capicorrente e caporioni ad essere stata messa in discussione fino all’estremo punto di rottura che porterà alla sostituzione quasi totale dei suoi elementi è proprio l’Esecutivo comunale per nulla toccato dalle vicissitudini legate al processo “Miramare”. Nulla di sorprendente in fondo, se è vero come è vero che la decisione di affidarsi alla coppia delle meraviglie Brunetti-Versace è stata assunta dal sindaco sospeso dopo un breve ma inteso confronto con se stesso. E pensate che questo abbia acceso il sacro fuoco dell’amor proprio nei membri dei vari Gruppi consiliari? Tutt’altro: la mossa azzardata è stata interpretata come un gesto di sfida al quale rispondere pretendendo una spartizione di potere a tutto vantaggio delle “vittime” dell’unilateralismo di Falcomatà. Una redistribuzione di influenze e posti strategici in cui a fare la parte dei leoni sono Nino De Gaetano e Sebi Romeo, due personaggi che la cronaca, almeno per ora, si è incaricata di tenere fuori dal perimetro ufficiale di gioco ma che, strafottendosene altamente, continuano ad agitare i fili dei loro “prestanome” nelle diverse Assemblee elettive. E in questo bailamme di menefreghismo e prepotenza, di opportunismi e meschinità, di nullità assolute catapultate sugli scranni da una democrazia imperfetta, cosa può fare il variegato mondo delle minoranze? Finora il minimo sindacale: andare dal notaio, a intermittenza ed a scaglioni, ed apporre la firma sull’ovvio, cioè lasciare soli nei loro vaniloqui coloro i quali, mozzati di onorabilità e coerenza, si aggrapperanno all’istinto di sopravvivenza prima di rivedere le fiamme dell’anonimato.